C’è ancora chi pensa che viaggiare per piacere sia una cosa semplice. Basta avere un po’ di tempo, un po’ di soldi e un paio di buoni indirizzi. Ma stiamo cominciando a capire che, come la maggior parte delle attività, viaggiare è in realtà un’arte, che trae vantaggio dalla riflessione e dalla pratica sistematica. Non nasciamo sapendo come si fa, e senza esperienza cadiamo nelle trappole più ovvie. In quasi tutti i paesi ricchi del mondo, si viaggia in massa solo da mezzo secolo o poco più. Quindi c’è poco da stupirsi se solo oggi stiamo imparando a metterci in viaggio con una saggezza e un’attenzione che i nostri genitori non avevano.
Una delle prime verità che abbiamo scoperto è che non esiste per forza un rapporto tra i soldi che si spendono per il lusso e la felicità.Stiamo imparando ad essere meno materialisti, il che non significa che le comodità non ci interessano, ma che abbiamo cominciato a capire meglio i limiti che hanno cose come il “servizio in camera” o un pasto di cinque portate, nel lenire i mali che ci passano perla mente. L’idea del lusso della generazione precedente (alla mia, alla nostra), con grandi alberghi e ristoranti raffinati, ora ci sembra ingenua e superata. In questo mondo travagliato e misterioso, starsene al sole come lucertole puo’ farci sentire a disagio invece che rilassarci. Discendiamo da gente che ha lavorato sodo per avere successo nella vita e, giustamente, “non far nulla” è la cosa che piace di più loro ma è meno familiare e spaventa di più quelli della nostra età. Al tempo stesso ci chiediamo cosa dovremmo fare una volta arrivati a destinazione. In passato la risposta era ovvia: andare a vedere la chiesa locale o andare in un museo. Questo atteggiamento era influenzato dalle priorità culturali dei giovani che nell’ottocento completavano la loro educazione con il “gran tour” europeo, come se lo scopo ultimo di un viaggio fosse ammirare in rispettoso silenzio i capolavori artistici di un paese.
L’arte è sicuramente un buon mezzo per capire le caratteristiche di un popolo, ma limitarci a contemplarla non è quell’esperienza vivida e viscerale che vogliamo. Preferiremmo parlare con la gente. Cosa ben più difficile da fare che andare per musei. Esistono varie istituzioni che aiutano a conoscere la cultura di un paese attraverso la sua arte, ma se vogliamo parlare con le persone comuni non c’è nulla che ci aiuti. Possiamo passare un’intera settimana all’estero senza interagire con nessuno (dei nativi) oltre al personale dell’albergo e del ristorante. L’industria dei viaggi del futuro sarà quella che ci aiuterà a inserirci nelle realtà di un paese e capirle. Ci toglierà dalla routine dei musei e ci getterà nella vibrante realtà quotidiana (non ridete: delle cucine, degli uffici, degli asili e delle feste di matrimonio). Si impara molto di più sulla cultura della Spagna, per esempio, pranzando con un panino in compagnÏa di due operai della “Telephonica” in un posto che mai immaginereste, tipo Puente LA Reina, in una sosta durante il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela, che andando al Prado per un’intera giornata.
Un tempo i viaggiatori di sforzavano di scoprire più informazioni possibili sul paese che visitavano(). Erano molto orgogliosi quando arrivavano a sapere l’anno in cui la cattedrale era stata completata e finita o chi era stato il primo presidente dopo l’indipendenza. Oggi i nostri cellulari ci permettono di accedere a queste informazioni ovunque in quantità inutilmente abnormi (l’eccesso di informazione è uguale a zero). Quello che ci serve sono le esperienze che soddisfino i nostri bisogni interiori. Possono esserci anche un certo numero di luoghi “imperdibili” nella città che visitiamo, ma forse nessuno di quelli è approppriato al nostro stato d’animo del momento. Stiamo, cioè, cominciando ad accettare l’idea che forse faremo meglio a fare qualcos’altro.
Pensate ai pellegrinaggi e al modo in cui un tempo le religioni organizzavano i viaggi. Viaggiare significa entrare in un mondo che avrebbe dovuto guarirci da qualche afflizione. Può sembrare un’aspettativa esagerata ma ci ricorda uno degli scopi del viaggio che spesso ci sfugge: si viaggia per guarire. Per andare a trovare in un altro paese qualcosa -una filosofia o un atteggiamento verso la vita che nel nostro (al momento) non troviamo o non abbiamo. In futuro, le agenzie non ci chiederanno più dove vogliamo andare, cercheranno di capire cosa vogliamo cambiare di noi stessi o cosa aggiungere a noi stessi. Viaggiamo per trovare qualcosa di esotico che ci è necessario. Un tempo esotismo significava gonnellini di paglia e artigianato locale. Ma in realtà dovrebbe significare qualcosa che non ci è familiare è che è importante per la nostra crescita. Può essere un modo di crescere i bambini o di organizzare uno spazio di lavoro di rapportarci con la natura o con il corpo. Stiamo imparando come strutturare un viaggio in modo che ci dia cio’ che ci manca. Stiamo imparando a renderci conto della nostra complessità e del fatto che un campo da golf e una camera con vista non bastano (più). In fondo raggiungere il piacere è difficile quanto guadagnare molto danaro. Dovremmo trattare con maggior rispetto le aspirazioni legate ai nostri viaggi. Viaggiare dovrebbe aiutarci a partorire un nuovo modo di essere. Magari migliori.
Fantastico! Grande viaggiatore di cammini e parole ♥
isabella