Paul Auster. Storia di un americano

paul auster, foto
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Lo scorso marzo, Siri Hustvedt, moglie di Paul Auster, annunciò con un drammatico post su Instagram che gli era stato diagnosticato il cancro ai polmoni che alla fine lo ha ucciso. È morto il 30 Aprile nella biblioteca della sua casa di Park Slope a Brooklyn circondato dalla famiglia, tra cui la moglie e la figlia, la cantautrice Sophie Auster.
Negli ultimi anni la loro vita è stata segnata dalla tragedia: la nipote di 10 mesi morì dopo aver ingerito eroina datale accidentalmente da suo figlio Daniel, padre della bambina, morto a sua volta di overdose un paio di anni fa.

Paul Auster, come Philip Roth, è cresciuto a Newark, nel New Jersey, figlio di immigrati ebrei polacchi. Si trasferì a New York per frequentare la Columbia University e dopo la laurea trascorse quattro anni in Francia, dove visse di traduzioni mentre affinava la sua arte di scrittore.
Molti lo hanno definito in altrettanti modi: “postmoderno” è l’aggettivo più gettonato; alcuni altri, invece, come “il grande scrittore americano”. Non sono d’accordo: al centro della sua scrittura c’è sempre stata New York e soprattutto Brooklyn dove si era stabilito negli anni Ottanta. Come per W.Allen nel cinema, è stato il cantore per definizione della sua città. Paul Auster ha per questo stabilito una delle nicchie più particolari della letteratura. La sua voce narrativa è ipnotica come quella della Ballata dell’antico marinaio di Coleridge. La sua scrittura appartiene al mondo. La sua, è un perdita di tuttti.

Il suo primo romanzo, “Città di vetro”, fu rifiutato da 17 editori prima di essere pubblicato da una piccola casa editrice californiana nel 1985. Diventò la prima parte della Trilogia di New York. È la storia di uno scrittore di gialli assediato dal lutto (un tema ricorrente nell’opera di Paul Auster) che attraverso un numero di telefono sbagliato viene scambiato per un investigatore privato di nome Paul Auster. Comincia ad assumerne l’identità. Un romanzo giallo? Il genere stava stretto a Paul Auster, come ad ogni grande scrittore, e come scrisse in “Una vita in parole” (A Life in Words), autoanalisi della sua opera, anche di “Delitto e castigo” si potrebbe dire che è un giallo”. Philip Roth si è molto arrabbiato in vita per questa classificazione. In una lunga intervista ( disponibile si Raiplay) dichiara la sua avversione per la definizione di scrittore ebreo americano e di scrittore di storie ebraiche. Definisce se stesso come solo scrittore americano.

Alcuni episodi lo segnarono profondamente. Secondo Paul Auster, la sua vita di scrittore iniziò all’età di otto anni, quando non riuscì a ottenere un autografo dal suo eroe del baseball, Willie Mays, perché né lui né i suoi genitori avevano portato una matita alla partita. Da quel momento in poi ha portato la matita ovunque. “Se hai una penna in tasca, è molto probabile che un giorno ti venga la tentazione di iniziare a usarla”, ha scritto in “Tentazione di esistere”.
Poi. Mentre faceva un’escursione durante un campo estivo all’età di 14 anni, fu testimone della morte di un ragazzo, colpito da un fulmine: un evento che, a suo dire, “cambiò completamente” la sua vita e a cui pensava “ogni giorno”. Il caso, comprensibilmente, divenne un tema ricorrente nella sua narrativa. Un incidente simile si verifica, non a caso, ad un uomo in uno dei suoi più celebri romanzi,”4 3 2 1“, che esamina quattro diverse versioni della vita del protagonista, un ragazzo ebreo nato a Newark come Paul Auster.
Siri Hustevedt ha trovato ispirazione per un’altrettanta tragedia in un campo estivo in “Quello che ho amato”. Una dramma che trascina i protagonisti nel buio profondo dell’inferno.

Paul Auster ha attraversato momenti particolarmente difficili negli anni ’70 quando sposò, per poi divorziare solo quattro anni dopo, la scrittrice statunitense Lydia Davis, dalla quale ebbe Daniel. “Mi ero scontrato con un muro con il mio lavoro”. Era bloccato e infelice, il suo matrimonio stava andando in pezzi, non aveva soldi. “Ero finito”, disse al New York Times nel 1992.

La morte improvvisa del padre, che spinse Paul Auster a scrivere “L’invenzione della solitudine”, un’inquietante riflessione sul rapporto padre-figlio, è un tema ricorrente nell’opera di Auster. Pubblicato nel 1982 fu un successo di critica che liberò Auster dall’angolo consegnandolo definitivamente al mestiere di scrittore. Lo stesso anno sposò Siri Hustvedt, formando una delle coppie intellettuali più stellate di New York.
Da suo padre derivano la sua diffidenza, la sua interiorità, il suo orgoglio, la sua ostinata adesione al compito da svolgere, la sua capacità di lavorare come una formica. In una intervista ha parlato della sua scrittura. “Scrivere tre pagine è un miracolo”, ha detto. Sam Auster, morto ormai da anni, era un talentuoso ingegnere radiofonico che, negli anni ’20, fu assunto per lavorare presso il laboratorio di Thomas Edison a Menlo Park nel New Jersey. C’è una storia di famiglia secondo cui Edison licenziò il diciottenne Sam dopo solo un giorno, “perché era ebreo”. Era il 1929, l’anno del crollo di Wall Street. Sam non ne fu schiacciato. Ha continuato aprendo un negozio di radio, a Newark, che, a sua volta, è poi diventato un negozio di mobili. Quando Paul nacque nel 1947, la famiglia non era ancora benestante – cosa che arrivò più tardi con le speculazioni immobiliari del padre – ma non era in difficoltà. Tuttavia, suo padre mantenne la sua abitudine tutta la vita: la riluttanza a spendere soldi, mettendo in imbarazzo il figlio piccolo mercanteggiando con i negozianti ogni singolo acquisto.

L’autore diventato un cult negli anni ’80 e ’90 con la sua “Trilogia di New York” piena di misteri metafisici e il suo film “Smoke”, sulle anime perdute che frequentano una tabaccheria di Brooklyn. Tutto il lavoro di Paul Auster si trova a cavallo del divario tra la classe media e quella agiata newyorkese più che americana in generale (le middlebrow e l’highbrow). Se la grande svolta si deve alla Trilogia, in quel periodo scrisse pure di un cane intento a dover recuperare il manoscritto inedito del suo defunto proprietario dall’armadietto per i bagagli di una stazione degli autobus. Il toccante romanzo è “Timbuktu”, cui fanno seguito una serie di storie esistenziali: “Moon Palace” (1989), “The Music of Chance” (1990) e “Leviatano” (1992).
Il suo dono per i dialoghi serrati è stato la chiave del successo di “Smoke”, che ha scritto e co-diretto in un film interpretato da Harvey Keitel. Ha anche co-diretto il seguito, “Blue in the Face”, che vedeva nuovamente Keitel al fianco di Jim Jarmusch, Michael J. Fox, Madonna e Lou Reed.

Nel 2017 ha interrotto il suo stile per misurarsi con un “tomo” di 866 pagine: “4 3 2 1“, sfidandosi con i grandi classici (vedi: Dickens, pure citato nel libro) in tema di “misura”. Il libro traccia la società americana attraverso la vita di un uomo qualunque, Archie Ferguson. Paul Auster lo presentò come il suo capolavoro e forse lo è. Ma mentre la National Public Radio americana lo trovò “abbagliante”, altri furono meno positivi. Come definire, altrimenti, il tristissimo commento, di chi non non capì il romanzo come L’Irish Times che lo definì “l’ultimo grasso romanzo di un orgoglio americano crollato”?

“Bloodbath Nation”, il libro che ha pubblicato nel gennaio 2023 con il genero fotografo Spencer Ostrander sulla violenza armata in America, lo ha portato su un nuovo terreno. Paul Auster ha scritto il testo per accompagnare le inquietanti immagini in bianco e nero di Ostrander dai luoghi di 30 sparatorie di massa. Le armi da fuoco sono “la metafora centrale di tutto ciò che continua a dividerci”, ha scritto. Nel libro, ha rivelato come sua nonna avesse ucciso suo nonno nel Wisconsin nel 1919, ma avesse evitato la prigione e cresciuto i suoi cinque figli dopo aver sostenuto di essere pazzia temporanea.

Baugartner; quello che rimane della vita di Seymour, protagonista del libro, che si interroga sulle cose essenziali dopo la scomparsa dell’amata Anne, sua moglie, è il suo ultimo libro tradotto da noi per Einaudi a fine 2023.

Finisco. I suoi oltre 30 libri si trovano sia negli aeroporti come nelle biblioteche delle università e sono stati tradotti in più di 40 lingue. In libreria no. Mi si consenta a questo proposito un giudizio sferzante.
In attesa di riparare uno scandalo tutto nostro, provate ad andare in una nostra qualunque libreria a cercarlo compresi i libri di Siri Hustevedt.
In quelle più grandi i commessi non sanno chi è perchè le aziende, in specie quelle grandi, poco si sforzano di formare le persone, ma qualche suo libro si trova in alto a sinistra negli scaffali di narrativa; nelle piccole sanno chi è ma dei suoi libri nuovi non v’è traccia. Adesso entrambe correranno ai ripari mentendo sul fatto di esserselo fatto mai mancare.

Per BookAvenue, Michele Genchi

Nota:
BookAvenue ha dedicato ampi spazi al lavoro di Paul Auster. Nel n.2 della nostra rivista (ora sospesa) dedicata alla letteratura nordamericana consultabile alla lettura su Issue o scaricabile qui c’è una bella intervista al grande autore americano

Fonti:
The Irish Times, Paul Auster author of The NY Trilogy dies at 77
The New York Times, Paul Auster the Patron Saint of Literary Brooklyn dies at 77
Da YouTube: How I became a writer. Paul Auster interview.
BookAvenue, La rivista di culture letterarie n. 2: USA, Intervista a Paul Auster


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