Massimiliano Naglia racconta la solitudine attraverso l’amore

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{jcomments on}Nella vita svolge con soddisfazione una professione che con l’arte ha poco a che spartire, ma musica, pittura e letteratura fanno parte del suo dna tanto che Massimiliano Naglia ha coltivato queste passioni fin da ragazzo. Così nei momenti liberi, tra note e pennelli, ha trovato spazio anche per la scrittura, da cui è scaturito il suo primo romanzo Gli occhi della solitudine (Ed. Pendragon).
Racconta una storia come tante, un uomo e una donna che per anni portano avanti una storia d’amore segreta, una sorta di lunga parentesi che procede parallela alle loro vite “pubbliche”, un sentimento esclusivo e particolare. Massimiliano narra la vicenda con delicata leggerezza, inframmezzando i fatti da riflessioni e ricordi, come se il protagonista rileggesse un vecchio diario e lo integrasse alla luce delle esperienze vissute in seguito ai fatti narrati.

Come è nata l’idea del romanzo? Quale è stata la sua evoluzione? lo scopriamo direttamente dall’autore con cui ho fatto una piacevole chiacchierata.

Gli occhi della solitudine è una storia molto intima, si intuisce che ciò di cui scrivi in parte è tratto dal tuo vissuto personale. Come mai hai deciso di metterti così a nudo?
E’ vero, la storia trae spunto da persone reali: il protagonista maschile ha preso molto di me, il personaggio femminile invece è un po’ diverso dal reale, solo in parte autobiografico.
Da quando ho buttato giù questa storia, tanti anni fa, ho sempre pensato che fosse una storia che valeva la pena di essere raccontata. Comunque in realtà in tutti i romanzi l’autore racconta fatti verosimili, che magari non sono capitati a lui personalmente, ma a qualcun’altro nel mondo. Quindi in qualsiasi libro ci sono elementi intimi, personali, biografici. Una cosa su cui ho riflettuto molto, in realtà, è stata se usare la prima o la terza persona: per arrivare al cuore del lettore è meglio usare la prima persona, però chi legge in questo caso
vive l’autore come parte integrante della storia. Ma non mi ha creato alcun imbarazzo perché per il lettore quel che conta è la storia, non chi la racconta.

Il tuo romanzo va in controtendenza rispetto alla maggior parte dei libri che hanno successo oggi, per il modo “minimale” in cui racconti la storia: alle scene forti, al sesso esplicito, preferisci una narrazione garbata, un linguaggio piuttosto elevato anche nei dialoghi. Questa impostazione è frutto di una scelta meditata o ti è venuta naturalmente?
Racconto una storia in cui tanti si possono identificare, per questo ho studiato la scrittura nei minimi dettagli, affinché non fosse complicata ma fluente. Ho riletto tante volte il testo a voce alta perché volevo che avesse ritmo, che ci fosse sonorità nelle parole. Perché volevo che il linguaggio fosse musicale. E sì, ho voluto andare in controtendenza non solo rispetto a molti dei romanzi che vanno per la maggiore ma rispetto a tutto ciò di cui siamo circondati, i linguaggi forti, ma tanti altri aspetti del mondo che ci circonda. L’ho fatto perché credo che la gente abbia bisogno di leggere storie normali, da condividere, che fanno bene al cuore.

Come ti sei avvicinato alla scrittura?
Sono nato e cresciuto in una famiglia in cui le arti – musica, pittura, scrittura – sono state sempre molto amate e praticate. Ho sempre scritto, fin da ragazzo, appuntando in un quaderno storie e racconti. Quando mi sono ritrovato un po’ di tempo libero ho recuperato questi scritti e ci ho rimesso mano. Finche è nato il libro nella versione più o meno definitiva. Poi per un puro caso si è presentata l’occasione di pubblicarlo e l’ho fatto.

Pensi di scrivere un secondo romanzo?
Ci sto ragionando sopra. Ho dei tempi di gestazione abbastanza lunghi. Ho comunque intenzione di scrivere qualcos’altro ma senza impormi termini o scadenze.

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Carla Casazza

Carla Casazza ha fatto della scrittura la sua passione e lavoro.
Laureata in Pedagogia a indirizzo storico, ha insegnato per diversi anni.
Ha pubblicato alcuni libri sia di narrativa che di non-fiction.
Vive in Trentino.

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