Dopo il successo di “1861”, Giovanni Fasanella e Antonella Grippo ripartono dalle strade del Risorgimento Italiano per percorrerle fino alla Grande Guerra. E lo fanno con un bel libro – “Intrighi d’Italia“, edito da Sperling e Kupfer – scritto con una verve capace di raccontare episodi “pesanti” con una leggerezza di calviniana impronta, rendendo l’intero lavoro piacevole e ricco di grandi “inediti” che sorprendono pagina dopo pagina il lettore. Da evidenziare da parte degli autori la grande opera nel saper ricercare fonti (specie quelle da archivi stranieri) che fanno conoscere quelle trame che non ci sono sui libri di storia. L’opera peraltro, in alcuni punti, ha molte analogie con i periodi molto più vicini al nostro: basti pensare al Governo dei banchieri, dei tecnici (d’affari) o allo scandalo della Banca Romana che oggi si chiamerebbe Tangentopoli; quasi a significare che la storia si ripete (corsi e ricorsi…) e quando si ripete, cambiano ovviamente i personaggi ma non la fattispecie, come direbbero i giuristi.
Molto belle sono le descrizioni a inizio capitolo, attraverso le quali gli autori sono riusciti a creare sapientemente le atmosfere dell’epoca. Fino a sentire il rumore della pioggia o l’odore proveniente dalle strade e dalle case affascinanti di una Torino nebulosa e misteriosa, spesso teatro di vicende ai confini del giallo, con figure femminili dal fascino intrigante che hanno conosciuto i potenti da molto “vicino” e ne hanno condizionato azioni e comportamenti. Il libro inizia con la morte di Cavour avvenuta con una sorta di malasanità organizzata. Un salasso al pari di un vitello per il Conte che fece l’Italia. Il tutto raccontando per l’appunto gli intrighi degni di un’avvincente sceneggiatura da film di spionaggio. Anche Firenze poi sarà il set di torbide vicende per arrivare a quella Roma che fa da sfondo all’omicidio politico di Raffaele Sonzogno. La descrizione di una Trastevere carnascialesca immerge il lettore tra le oscure vite dei protagonisti “pasoliniani” o da romanzo criminale, de gente cor cortello esecutrice di ordini di lobby potenti e pericolose. Colpiscono nel testo, come si diceva, alcune osservazioni che subito arrivano ai giorni nostri come se si stesse leggendo un quotidiano, quello del giorno prima. Ed ecco che gli autori, parlando a margine della disfatta di Adua, affermano che “la maggioranza degli italiani, invece, per nulla propensa alle avventure e desiderosa solo di stabilità, riprese a preoccuparsi della crisi economica che la attanagliava e che il “governo d’affari” – che oggi si direbbe tecnico del Marchese di Rudinì era stato chiamare a risolvere…”
E allora, come non accennare al “Governo dei Banchieri” in una Roma di fine Ottocento, enorme cantiere per quella “febbre edilizia” appannaggio di palazzinari condizionatori della finanza senza scrupoli, fino all’epilogo dello scandalo della Banca Romana ben noto alle cronache (ma meno alla storia) che non ne ha indagato tutti gli aspetti che il libro invece resoconta.
Grazie al lavoro di autori quali Fasanella e Grippo è possibile colmare un vuoto: quel vuoto della storia che, se nessuno prova a riempirlo, rimarrà eternamente oscuro, con la grave conseguenza di non sapere la ragione delle cose e del corso di alcuni eventi che potevano certamente mutare. Il libro che qui si commenta ha veramente tanti pregi. Ma tra tutti quello di saper raccontare. Non un volume pieno di un groviglio di informazioni, ma una soluzione al problema. Gli autori svelano il finale di una trama passando per episodi certamente noir, ma anche umoristici, sia pur nella drammaticità dei casi. Come non pensare al pomeriggio del 22 aprile 1897 quando un giovane romano attentò con un punteruolo alla vita del Re Umberto I? Quando fu catturato e gli chiesero il perché di quel gesto, rispose ” Qui non se magna più e quarcosa bisogna puro fa”. Pietro Acciarito di professione “affamato” è uno dei tanti personaggi raccontati in questo libro. Personaggi spesso minori. Ma l’Italia spesso è stata fatta ed è fatta di personaggi minori, che ritornano sempre, in ogni epoca. E gli autori, demolendo una Giolittiana cultura dell’indicibilità ci hanno fatto conoscere una realtà sapientemente e politicamente celata.
Antonio Capitano
Marianna Scibetta