L’intelligenza artificiale è una minaccia o una risorsa per l’arte?

robot che disegna da ©freepik
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Il primo premio nella categoria creativa dei Sony World Photography Awards 2023 (1) è stato assegnato lo scorso aprile a Boris Eldagsen, che ha impressionato la giuria con il suo ritratto etereo e in stile vintage di due donne in bianco e nero. Il fotografo, tuttavia, ha rifiutato il premio e rivelando che la sua immagine non era stata creata da una macchina fotografica ma dall’intelligenza artificiale. L’artista tedesco ha detto di aver “fatto domanda al premio, per vedere se riusciva a ingannare la giuria”.

I modelli di intelligenza artificiale “generativa” realizzano imitazioni convincenti, sia che producano ritratti vintage sia immagini più moderne, come la presunta foto del papa ritratto con un improbabile piumino di Balenciaga, che recentemente ha ingannato metà del globo e quasi tutti su Twitter, dove è stata pubblicata. Tuttavia la loro capacità di produrre opere originali è meno chiara. “ Finora l’arte basata sull’intelligenza artificiale è stata eccezionalmente banale”, ha recentemente sbuffato un editorialista del Giornale dell’arte. È intrinsecamente derivato, basato su milioni di immagini  che vengono consumate, digerite e rigurgitate su ordinazione dalle piattaforme di intelligenza artificiale generative. “Il plagio è una caratteristica propria del processo di intelligenza artificiale “, ha dichiarato la Writers Guild of America, (2) uno dei tanti sindacati dei lavoratori creativi che vede i modelli di intelligenza artificiale generativa come semplici imitazioni. Argomento profetizzato da Walter Benjamin che già nel ’36 nel suo famoso libro “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” afferma che di fronte a una copia non esiste più l’originale e di conseguenza il rapporto trasformativo tra arte, tecnica e modo di fruirne della società di massa.

Come dire tutti originali? O tutte copie?

Forse è così. Eppure ci sono segnali che i modelli d’intelligenza artificiale stiano sviluppando un proprio stile artistico, e non solo nel disegnare mani o volti. Identificando e accentuando i modelli che vedono nei loro dati di addestramento, i modelli generativi non sono solo specchi degli stili contemporanei, quanto lenti di ingrandimento. Lentamente sta emergendo una scuola robotica di opere d’arte.

I computer fanno arte da qualche tempo. Anni fa Christie’s ha messo all’asta la sua prima opera creata dall’intelligenza artificiale, “Edmond de Belamy”(3), una sfocata approssimazione di un dipinto ad olio del XVIII secolo. Nonostante fosse incompiuta e avesse un aspetto vagamente alieno, quell’opera è stata venduta a 432.500 dollari. “Potrebbe non essere stato dipinto da un uomo con una parrucca incipriata “disse il battitore di Christie’s, “ma è esattamente il tipo di opera d’arte che vendiamo da 250 anni”.

Da allora la tecnologia ha fatto molta strada. Piattaforme aperte come Midjourney (4), l’Imagen Search Generative Experience (SGE) di Google e le diverse app. già disponibili online, generano immagini in pochi secondi sulla base di semplici istruzioni scritte. Non è richiesta alcuna abilità artistica, anche se è necessaria un’abilità per ottenere buoni risultati. Un esempio, letto su internet, è l’applicazione dell’IA nel campo di design dove l’artista Nick St Pierre, un designer di New York (5), utilizza l’intelligenza artificiale per fabbricare oggetti e articoli di arredamento, compresi i mobili. 

Ancora. La capacità di ordinare qualsiasi immagine in qualsiasi stile, (dai film d’azione degli anni ’90 agli scatti dei paparazzi papali) sembra incompatibile con l’idea di un look distintivo dell’intelligenza artificiale. Eppure, alcuni tratti sembrano predominare. Uno è la nostalgia. La capacità dei modelli d’intelligenza artificiale di ricreare gli stili con cui sono stati alimentati, li rende abili nel simulare l’aspetto dei vecchi media o, talvolta, nel ricreare eventi passati in forme moderne. Una recente serie diventata virale, immagina selfie moderni scattati in tempi premoderni, con vichinghi o uomini delle caverne che sorridono alla macchina fotografica (4).

Come nelle epoche artistiche precedenti, il soggetto prevalente è determinato da chi commissiona l’opera. Dal neorealismo al paesaggismo al piano inclinato, le gallerie d’arte private o su strada sono il più delle volte ricche di dipinti a olio, perché queste erano le tecniche di esecuzione delle opere d’arte più care e commissionate dai mecenati. Per dire che le modalità di produzione di IA in Midjourney è importante (a prima vista, almeno per quanto riguarda le principesse guerriere) per lo stesso motivo.

Ancora. I modelli di IA sembrano favorire tecniche particolari. 

Esaminando le immagini prodotte dagli artisti (?) su Midjourney, Roland Meyer,(6) un ricercatore dell’Università di Bochum in Germania, ha notato un aspetto comune. Molti “brillerebbero come se fossero illuminati dall’interno”. Hanno combinato questa illuminazione distintiva che contrastava i toni caldi (i toni del terreno) con quelli metallici (blu o verdi). Molti mostrano quello che i fotografi chiamano “alta gamma”, ovvero un’ampia variazione dei livelli di luce all’interno dell’immagine, con zone d’ombra profonde e altre aree fortemente illuminate.

Questi tratti non sono casuali. Lo studioso tedesco (7) attribuisce il caratteristico “bagliore” al modo in cui i modelli di intelligenza artificiale gestiscono l’illuminazione. Invece di utilizzare tecniche di arte digitale, in cui un computer calcola come la luce cadrà su un oggetto da un angolo particolare, l’intelligenza artificiale immagina come appariranno le cose in base alle immagini nei suoi dati di addestramento, che sono state illuminate da molti punti e angoli diversi. E’ la ragione perché le immagini foto-realistiche dell’intelligenza artificiale sembrano essere illuminate in un modo più simile alla pittura che alla fotografia naturalistica.

Come Al1 in “2001 Odissea nello spazio”, l’intelligenza artificiale impara da modelli che si evolvono e migliorano pur continuando a dipendere dai dati di addestramento creati dall’uomo. “Nessuna collezione è mai neutrale”, dicono dal Royal College of Art di Londra (6), dove hanno allestito un laboratorio di intelligenza artificiale . “Gli archivi di immagini sono indici dei mutamenti ideologici e impegni politici di una società”. E qualunque siano i dati sulla formazione, “ci ritroveremo con uno stile che è una sorta di minimo comune denominatore dell’arte”. L’intelligenza artificiale impara dalla sua esperienza accumulata. Paragonando le immagini generate dall’intelligenza artificiale, sembra assistere a un progetto degli anni ’90 di una coppia di artisti concettuali russi, Vitaly Komar e Alexander Melamid. 

Identificando e condensando gli stili prevalenti nei dati di addestramento, i modelli di intelligenza artificiale generativa stanno svolgendo un ruolo simile. Si ritiene che la loro capacità di riassumere stili o epoche visive potrebbe renderli potenti strumenti di analisi per gli storici dell’arte. Sia la loro debolezza che la loro forza è che, come dice lui, sono “rivelatori di cliché”.

per Bookavenue, Antonio Conte e Michele Genchi

Fonti:

  1. worldphoto.org: Sony world photography awards
  2. theverge.com: wga union chatgpt ai tools proposal
  3. christies.com: lot-6166184
  4. Midjourney.com: tra le prime tra le diverse app disponibili di intelligenza artificiale applicata all’arte visiva
  5. Nick Pierre Interview from You Tube: 0l6tdMtUTuc
  6. economist.com: art made by artificial intelligence is developing a style of its own
  7. philosophy cognition.com: interacting with intelligent systems decisions affects and trust

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