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Nativo dell’Uruguay (è nato a Montevideo) e di origini italiane, Angel Luis Galzerano è un esempio suggestivo ed emozionante di quanto può regalarci la commistione artistica di narrazione e musica nel panorama letterario in questi ultimi anni. Il suo raccontare musicato itinerante (o cantare narrato itinerante), crea un nuovo tango letterario, un nuovo genere di scrittura, nonostante lui tenga a sottolineare “sono un cantautore, non uno scrittore”. Non è solo scrittura migrante, è anche testimonianza orale che si stacca dalla carta vibrando in musica; Galzerano è cantore del frammento poetico che arriva all’orecchio passando sempre prima attraverso gli occhi e il cuore.
Di qui e d’altrove (2010) è il suo primo libro, pubblicato da Compagnia delle Lettere (www.compagniadellelettere.it), casa editrice romana, che ha fatto dell’intercultura un progetto di ampio respiro, sensibile non solo all’opera in sé (libri scritti da immigrati che scrivono in italiano) ma alla divulgazione diretta, alla mobilitazione vera e propria (in ogni luogo dove sia possibile aggregarsi, comunicare in tante lingue, diffondere culture, mangiare cibo di diversa provenienza, scambiare esperienze di vita).
Divisa tra Montevideo, con il suo fiume oceano e navi che promettono sempre viaggi, e Campora, un piccolo paese del salernitano, dove le viuzze sono abbellite da porte di tanti colori, la breve autobiografia di Galzerano tocca le corde dell’emigrante (e dello spettatore che legge la sua storia) che parte sperando di tornare, insegue una libertà altrimenti insperata e si scopre totalmente nuovo figlio di due mondi, e in entrambi mantiene salde radici. La terra natìa, dove una madre è andata via troppo presto, chiama la terra della madre stessa, alla ricerca di qualcosa che non potrà mai più abbracciare, se non nei ricordi, nei sogni, nelle foto antiche sfocate dall’emozione.
Il viaggio è metafora della trasformazione, dell’andare avanti irrevocabile, della temporaneità di ogni cosa. Il ritorno è la scoperta di valori mai perduti, di riconoscenza fuori dal tempo (anche a rischio di scambiare un nipote per un fratello perso in guerra), di condivisione consolatrice e forza, che solo la consapevolezza dei legami radicati può dare.
Gli italiani immigrati in Uruguay, sono spaesati ma mai soli; condividono tutto, anche il poco cibo, anche i regali portati dall’Italia. Come accade nei piccoli paesi ritrovati da chi è emigrato, tornando a casa dei nonni, dei genitori. Al contrario delle grandi città italiane (Milano, Brescia) dove tutto è in vendita, la solitudine alberga in ogni volto e nessuno si riconosce più nell’altro; l’italiano qui ha dimenticato.
Di qui e d’altrove ha il potere evocativo dell’unione tra esseri che sembra persa per sempre. Ripercorre stradine e Paesi per far conoscere un passato di fratellanza al di là degli oceani, e lo canta, sistemandolo nel presente sulle note di una chitarra.
Rosa Manauzzi