La traduttrice Helga Rainer, racconta il successo de “La Carezza dell’Uomo Nero“
Helga Rainer è la traduttrice del bel thriller La carezza dell’uomo nero di Sabine Thiesler, edito da Baldini Castoldi Dalai Editore, un libro che affronta di petto il tema della pedofilia senza nascondersi nel moralismo né scivolare nel pietismo, anzi, la Thiesler ci offre la possibilità di vedere il mondo con gli occhi del mostro, dell’Uomo Nero. L’anti-eroe è un «diavolo ma è volutamente dipinto come un angelo, tanto che i personaggi nel libro si fidano di lui» ma la narratrice ci offre due scorci del suo passato, rivelando delle ferite profonde che lo hanno segnato sin da bambino. Alla fine il lettore rimane da solo con l’orrore, le domande senza risposta, la voglia di mollare il libro ma allo stesso tempo, grazie alla scrittura coinvolgente della Thiesler, viene attratto in un vortice dal quale dovrà trovare una personale via d’uscita. Helga Rainer, collaboratrice della rivista Linus,
è particolarmente affezionata a questo titolo che in Germania ha fatto grandi numeri e afferma: «Mi sono messa in gioco ma ammetto che diverse volte ho provato una stretta al cuore, una morsa allo stomaco, e allo stesso tempo un moto di ribellione per il destino dei piccoli angeli che vengono privati delle cose più importanti al mondo – la speranza».
Lei ha curato la traduzione del libro e sono convinto che il traduttore, seppure resti nell’ombra, debba essere capace, alla bisogna, anche di riscrivere interamente il libro. Mi racconta com’è stato il suo impatto con questo libro? Cosa l’ha colpita della storia?
Confesso che questo libro ha un significato molto speciale per me perché è la prima opera di narrativa con cui mi misuro. Se dovessi riassumere la mia esperienza userei la frase: mi sono messa in gioco. Come traduttrice ma soprattutto come persona. La prima volta che l’ho letto sono rimasta molto colpita: dalla struttura, dalla trama complessa e articolata, dalla tematica forte e delicata, ma soprattutto dal cuore che l’autrice ha messo in tutto il libro. Ogni libro ha un’anima, lo credo fermamente, alcune ci appartengono più di altre. E devo dire che questo mi ha smosso molto. Un collezionista di bambini, come recita il titolo originale, si muove tra la Germania e l’Italia. Tutto e niente. Ci sono molteplici modi per raccontare una storia del genere, ma il modo in cui l’autrice riesce a penetrare nei personaggi, a farti sentire sulla pelle le loro emozioni è davvero straordinario. Vittime, genitori e carnefice – ogni punto di vista è reso con grande efficacia. In questo senso tradurre il libro è stato certamente un po’ come scriverlo. Perché al di là delle difficoltà linguistiche, delle ricerche, che una traduzione comporta, la sfida più grande è stata quella di entrare nel libro, coglierne l’anima e tradurre sulla pagina ogni sfumatura e ogni intenzione. Cercando di offrirla al lettore, senza intermediazione. Quando un traduttore diventa una cosa sola con la voce dell’autore e il lettore non si chiede dove inizi l’una e finisca l’altra, quello è un incontro creativo davvero gratificante. E spero di esserci riuscita.
Che tipo di scrittura ha Sabine Thiesler? Nelle numerose recensioni online tutti lodano la sua crudezza e al tempo stesso la sua delicatezza nel trattare temi così delicati.
È una scrittura semplice ma molto curata, resa efficace da un ritmo serrato che scandisce perfettamente la narrazione e l’emozione. Ma c’è un altro aspetto che ancor più del primo è significativo in questo romanzo, che mi suggerisce proprio la seconda parte della domanda. Perché la crudezza e il dolore che il tema porta inevitabilmente con sé si fonde con una delicatezza, con un pudore che è anche linguistico. La cosa più difficile è stata scegliere le sfumature che si adattassero alle emozioni, soprattutto laddove la scena era cruda e particolarmente forte. Perché si tratta di un romanzo dove ogni cosa è dosata, misurata direi in modo perfetto. Tutto è asservito all’emozione. Dalla sofferenza dei bambini, a quella dei genitori, alla mente distorta dell’assassino. Non c’è morbosità. Non c’è una parola di troppo. E non doveva esserci. Al massimo resta un vuoto di troppo. Ma nel cuore di chi legge. E anche quello non doveva esserci.
Un libro che tratta il tema della pedofilia in modo così diretto certe volte può quasi spingere ad abbandonarlo per poi tornarvi, grazie ad un’ottima costruzione della trama. Lei che rapporto ha avuto con questo libro, amore/odio?
Più e più volte ho pensato di chiudere il libro, soprattutto nella prima parte, perché provavo una stretta al cuore, una morsa allo stomaco, e allo stesso tempo un moto di ribellione per il destino dei piccoli angeli che vengono privati delle cose più importanti al mondo – la speranza. E la vita. Eppure ho trovato molto coraggioso affrontare il tema in questo modo, soffermandosi sul lato psicologico, più che su quello fisico. Il non detto può fare più male e anche più orrore. Soprattutto quando si parla di un argomento purtroppo reale, di cui sentiamo parlare troppo spesso. Credo fosse inevitabile amare e odiare questa storia per rendere tutti i punti di vista. Lasciare che scuotesse la coscienza, smuovesse la sensibilità sono stati due passaggi fondamentali per entrarci dentro, in profondità. Non restava che riprodurlo sulla pagina.
Non si poteva tradurre “Allora” in modo diverso senza tradire il testo originale?
Mi sono posta anch’io questa domanda, ma dopo diverse riflessioni ho scelto di mantenere il nome “Allora” anche nella traduzione italiana. Il dubbio se cambiarlo mi ha chiaramente sfiorata perché un personaggio che si chiama “Allora” nella nostra lingua poteva creare un’ambiguità non indifferente, tanto che ho suggerito alla casa editrice l’espediente del corsivo per mettere sull’attenti il lettore. Tuttavia, il nome Allora è stato scelto dall’autrice e ho preferito rispettare questa decisione. In fondo, a mio avviso, era in linea con il personaggio. Allora è una creatura primitiva, pura, non sa scrivere né parlare, agisce solo guidata dall’istinto e dal cuore, ma pronuncia quell’unica parola che è divenuta anche il suo nome. È una figura decisiva nel corso della trama e mi sono chiesta perché modificare una cosa così importante come il suo nome, che in qualche modo rappresenta la sua anima? Allora è strana come strano è il suo nome. Allora fa cose che lasciano spiazzati, che suscitano incomprensione nei personaggi e nei lettori. Che senso hanno? Lo stesso senso che ha chiamarsi Allora. E in secondo luogo mi affascinava che fosse una parola italiana a identificarla, una parola che parla per lei e costituisce il suo unico contatto con il mondo. Un piccolo sforzo da parte del lettore alle prime occorrenze e il legame con il personaggio si crea. Accrescendo ancor di più il suo mistero.
Infine, il libro narra le vicende con il punto di vista del “mostro” e nella quarta troviamo scritto: “Vedrete con i suoi occhi. Capirete con il suo cuore. Lo odierete con tutte le vostre forze ma non potrete fare a meno di provare compassione. Non sarete mai stati tanto vicini a un assassino.” Lei che sentimenti ha provato nei confronti de L’Uomo Nero?
Ambivalenti. Ma ho trovato la resa di quest’uomo e del suo punto di vista davvero riuscita. Eppure, come lettori, ci viene chiesto uno sforzo in più perché siamo chiamati a scindere tra ciò che proviamo e il modo in cui quest’uomo si relaziona ai personaggi – cosa difficilissima – perché a differenza degli altri noi sappiamo tutto fin da subito. E il diavolo è volutamente dipinto come un angelo, tanto che i personaggi nel libro si fidano di lui. Mette ancora più rabbia, da fuori. Ma ci sono due momenti nel libro in cui si torna indietro nel tempo e ci troviamo di fronte non più all’uomo, ma al mostro-bambino. Un bambino che è cresciuto senza sapere cos’è l’amore, che cos’è la speranza, a cui nessuno ha insegnato la distinzione tra bene e male. E in quel momento io ho provato qualcosa di molto simile a un lieve moto di compassione, perché mi è sembrato una delle sue fragili vittime. Come sarebbe cresciuto senza un passato del genere? Avrebbe fatto le stesse cose? Forse sì, forse no, ma la domanda non giustifica le sue azioni. Resta solo il dubbio se la crudeltà, forse, non avrebbe preso una strada diversa. Scrivendo per tutti un finale diverso. Un dubbio che appartiene alla finzione, naturalmente, perché la realtà è un’altra cosa. E la realtà non ammette compassione.
Helga Rainer è nata a Varese nel 1978. Laureata in Lingue e letterature straniere, lavora come editor junior per una nota casa editrice milanese. Oltre a “La carezza dell’uomo nero” di Sabine Thiesler, ha tradotto il fumetto “Come conigli” di Ralf König. Dal 2006 collabora con la rivista «linus» traducendo le strisce del medesimo autore (tra le ultime la trilogia biblica che comprende i volumi Prototipo, Archetipo e Antitipo). Il suo sogno nel cassetto è scrivere – un suo breve racconto intitolato “Quella casa dove le pareti piansero con il vento” è incluso nella raccolta “Diciassetteetrenta”, pubblicato anche al link http://old.cascinamacondo.com/site/raccontoonline.asp
Berlino, 1986. Benny non ha il coraggio di far firmare due brutti voti alla mamma e marina la scuola. Sa che non deve dar retta agli sconosciuti, ma quando Alfred lo soccorre da due ragazzi che vogliono derubarlo si fida istintivamente di lui. Dopo due giorni, Benny viene ritrovato in una casupola alla periferia della città: è seduto a un tavolo e i suoi capelli sono stati pettinati con cura sulla fronte, sembra ancora vivo ma in realtà è morto da almeno diciotto ore. Anche a lui è stato strappato il canino destro superiore, post mortem. Come a Daniel, tre anni prima; come a Florian, tre anni dopo. Hanno sperato fino all’ultimo che i genitori venissero a salvarli, ma alla fine si sono arresi: è stato quello il momento in cui Alfred ha deciso che dovevano morire. Ora sono liberi, non dovranno soffrire mai più.
La polizia non ha la minima idea di chi sia il colpevole. Poi, inspiegabilmente, la serie degli omicidi si interrompe. Toscana, 1994. Durante le vacanze, Anne e Harald vivono l’incubo peggiore di ogni genitore: in una sera come un’altra, a pochi giorni da Pasqua, loro figlio Felix sparisce senza lasciare traccia e a loro non resta che tornare in Germania. Toscana, 2004. Ancora divorata dal dolore, Anne ritorna nel luogo in cui Felix è scomparso. Affascinata da un rudere isolato in una valle solitaria, lo acquista da un uomo affabile e carismatico, illudendosi di poter trovare un indizio su cosa sia successo, ma dopo dieci anni tutto sembra perduto. Eppure qualcosa in quel luogo risveglia i suoi incubi. Qualcuno ha visto, ma non può raccontare…
Sabine Thiesler, nata e cresciuta a Berlino, ha studiato germanistica e teatro. Ha lavorato per alcuni anni come attrice, quindi ha scritto testi teatrali e sceneggiature televisive di successo. La carezza dell’uomo nero, bestseller in Germania con oltre 400.000 copie vendute e tradotto in diverse lingue, è il suo primo romanzo.