Quando un popolo è politicamente malato, di solito ringiovanisce se stesso e ritrova alla fine lo spirito che aveva lentamente perduto per riscoprire e conservare la sua potenza. La civiltà deve le sue più alte conquiste proprio alle epoche di debolezza politica.
Questa frase di Nietzsche è illuminante per capire l’attuale crisi economica e politica. E’ una frase che punta al momento della crisi quale momento di alta disperazione che permette ad un soggetto di rompere le catene, reagire e rialzarsi. E’ il caso dell’Italia del 2011 che stava per spirare ma che ha lasciato un’eredità pesante e una serie di ferite da disinfettare, curare e rimarginare.
Viviamo giorni di “politica transitoria” Non sappiamo come andrà a finire. C’è stato in tempi strettissimi un cambio epocale dello stile e delle parole della politica. Ma permangono manovre che incidono sulla povera gente. Di quel concetto di povertà, rivisto e corretto, attualizzato al presente. Anche se ora a guidare la “macchina” sono dei “politecnici” “strani” ma necessari per evitare il decesso del Paese.
Capita, anche a chi scrive di vedere persone conosciute che si recano all’uscita dei discount per recuperare scarti di cibo prima destinati agli animali vaganti. Questo è inquietante e triste campanello d’allarme. In quale classe si collocano queste persone? Nuovi poveri? “Nobili decaduti”? Commercianti senza gente che compra e che hanno chiuso le serrande? Separati senza casa e in cerca di nuova vita? Rispolveriamo Kierkegaard quando ci avverte che la nave è ormai in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani?
Leggendo la recente diagnosi del Paese redatta con autorevolezza dal Censis emergono dati chiari che meritano più di qualche riflessione. Siamo diventati un paese fragile, isolato, commissariato e prigioniero dei poteri finanziari. E quello che è più triste che è illusorio che i poteri finanziari disegnino sviluppo perché si occupano solo dei conti. Quei conti che non tornano mai. Ha un senso parlare ancora di PIL. E il PIL entra davvero nei nostri comportamenti? Certamente no. Il divario sociale è immenso, Il divario tra reddito percepito e disponibile è enorme. Non si può spendere, se non ci sono entrate. Dunque la crisi dei consumi, anche essenziali, è la crisi di un paese. Ci vorrebbe un Cavour. E’ la sintesi di recenti contributi che hanno analizzato questa Italia malata, ma di una malattia autoimmune. A quale classe compete oggi il compito di ridurre le differenze di classe?
Si avverte oggi la necessità di sostituire il concetto di PIL con un indice che meglio rappresenti lo stato di Benessere di una Nazione. Anche in Italia intellettuali, economisti, filosofi, opinion leader, si stanno confrontando su questo per indagare a 360 gradi un mondo diverso fatto di tante molecole che cercano di dare un nuovo punto di vista del benessere con una nuova visione del potere dell’economia sulle nostre vite. E sulla misura sbagliata delle nostre vite.
Probabilmente il PIL da sempre è stata una misura sbagliata. E sicuramente oggi sarebbe anacronistica in tempi in cui i cellulari hanno sostituito i telegrafi. Ma osservando i 150 anni dell’Unità di Italia, si riflette anche su come sarebbero andate le cose se Cavour avesse cambiato la sua linea politica. E allora dopo il boom degli anni 50, 60 dove tutto andava bene e dove la carta della banconote accontentava ricchi e poveri, oggi ricchezza e povertà, gioia e dolore sono concetti che dall’economia passano alla sociologia o alla filosofia e si ragiona su tutto ciò che può dare benessere. Ad esempio non il reddito percepito, ma quello disponibile in tempi in cui il credito al consumo ha permesso a tutti di farsi la macchina, ma spesso mancano i soldi per la benzina e per l’assicurazione. Dunque paradossi del PIL….
L’Italia sentenzia l’OCSE è uno dei paesi industrializzati con la maggiore disuguaglianza dei redditi, anche perché il divario tra ricchi e poveri è andato ampliandosi nei decenni. Nel nostro paese ormai i ricchi si sposano con i ricchi e dunque con redditi da lavoro simili ai loro. Dunque si riscoprono le “caste” nel senso “classico” del termine. Insomma una società senza classi con differenze e stravaganze. Con un ceto medio in cerca di autore o di nuova collocazione.
La classe dirigente, che autorevoli studiosi definiscono l’Eclissi della Borghesia, deve avere un suo stile riconoscibile. Di sobrietà e dedizione all’interesse generale ed un codice etico comune. Abbandonando efinitivamente che la cultura delle regole venga sostituita dalla prassi della deroga. Perché quando scompaiono le regole trionfa l’illegalità. Il nuovo Governo dovrebbe in realtà fare poco. Il poco necessario, abolendo il superfluo. Ma quel poco che parla lo deve risparmiare per la gente. E parlare significa anche ascoltare. Le istanze. Le attese. Le speranze.
Occorre accingerci, per dirla con il caro Berselli, a costruire una cultura, forse non della povertà, bensì della minore ricchezza. Di un benessere più limitato, e sapendo che questo minor benessere si ripercuoterà su ogni aspetto della nostra vita”.
Nella corsa ad ostacoli per arrivare a fine mese, gli italiani hanno dovuto rinunciare ad alcune voci di spesa da mettere nel carrello, accadono eventi che la sociologia dovrebbe spiegare. Come la recente apertura alla fine dell’annus horribilis 2011 del nuovo megastore Trony in pieno centro a Roma che offriva prodotti grandi firme a piccoli prezzi. Ebbene questo ha generato code e spintoni per comprare il superfluo in tempi in cui manca l’essenziale. Può un telefono low cost dare la felicità nello stesso tempo in cui aumenta il prezzo del pane? A che classe appartiene questa “gente”?
La ricetta del Censis è mettere in campo la nostra vitalità, rispettare e valorizzare le nostre radici e guardare al futuro. E il Censis consiglia di “esplicitare l’ipotesi che, se è giusto che uomini ragionevoli, quando serve, mettano ordine alla realtà, è anche accettabile qualche volta che sia la realtà a mettere ordine” affidandoci alle parole di San Tommaso “non ratio est mensura rerum, sed potius e converso. A meno che tra le confusioni di classi si canti all’italiana, tutti insieme appassionatamente, una bella canzone di De Gregori , mentre la nave affonda…
Ma chi l’ha detto che in terza classe,
che in terza classe si viaggia male,
questa cuccetta sembra un letto a due piazze,
ci si sta meglio che in ospedale.
A noi cafoni ci hanno sempre chiamato
ma qui ci trattano da signori,
che quando piove si può star dentro
ma col bel tempo veniamo fuori.
Antonio Capitano