L’ opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità

siri hustvedt/s eyes
   Tempo di lettura: 13 minuti

Tu, donna, sei la porta del diavolo. (Tertulliano)

Le nostre vite sono un macello. Dico davvero; un disastro.

Leggendo “Il mondo sfolgorante”, il più bel libro di Siri Hustvedt, mi è venuta in mente una performance della brillante artista Lella Costa cui ho assistito una volta. Tenne un monologo sulla sua vita che includeva alcuni ricordi, delusioni, le canzoni dei Pooh, momenti felici e preoccupazioni su questioni nodali del suo appartenere in maniera contorta al genere femminile.

Sul palcoscenico, c’era un piano di lavoro di cucina dietro il quale l’artista raccontava di sé. A ogni argomento/soggetto del racconto aggiungeva ingredienti in una pentola raccogliendoli tutti finché non traboccò. Alla fine, se la versò su se stessa cosicché i suoi vestiti, i capelli e il viso furono completamente sporchi e una nuvola farinosa le fluttuò intorno alla testa. Si guardò intorno e rivolgendosi al pubblico proclamò solenne: “Che casino!” Lo spettacolo era comico, ma dal modo in cui pronunciò il monologo, si è capì che tutto il suo essere era tragicamente una catastrofe.

Allo stesso modo, la vita del personaggio di questo romanzo, Harriet Burden o Harry, come la chiamano molti intimi, è un guaio; un casino totale. Il racconto, che mi ha ricordato il brillante spettacolo di anni fa, riflette il suo stato d’animo come la raccolta dei frammenti dai suoi taccuini personali, le dichiarazioni di familiari, amici, l’importante critico d’arte e suo ricco sposo, e le recensioni di mostre di gallerie. Una sorta di assemblaggio, mai completo davvero e assai tortuoso come la sua vita. In questa frammentazione troviamo il ritratto di una persona più vera di quanto qualsiasi semplice narrazione possa sperare di raccontare e un riflesso assai significativo delle molte sfaccettature della personalità e dei modi a diversi livelli con cui una persona può essere vista dagli altri.

Per farla breve e costringervi a comprare il libro, Harriet è un’artista sulla sessantina che vive a New York e che è frustrata dal modo in cui le artiste non sono prese sul serio come invece accade per gli uomini. Per smascherare questo pregiudizio, definisce un ricercato progetto d’arte dal nome “Maskings” con cui vendicarsi denunciando la natura sessista del mondo dell’arte.

Per lo scopo, seleziona sicuramente due, forse tre (perché il racconto non rivela del tutto il terzo coinvolgimento) artisti maschi per presentare altrettante mostre personali originali fatte passare come opera loro dietro cui, in realtà, c’è Harriet, il vero artista che si nasconde dietro i tre prestanome. Solo dopo la terza performance rivela il suo grande scherno attraverso un percorso indiretto scrivendo un articolo per un’oscura pubblicazione d’arte, “The open eye”, sotto lo pseudonimo di Richard Brickman, un critico e professore universitario di fantasia. Il segreto sarà svelato solo dopo la morte di Harriet da un lavoro di scavo per opera di un professore vero, tale I.V.Hess, sollecitato proprio da quell’articolo e decidendo di scrivere dell’artista.

Il libro inizia con una prefazione di Hess al suo libro che tenta di rispondere a questo enigma compilando i vari resoconti sulla vita della defunta Harriet Burden in un ordine sommariamente cronologico. È mostrato il ritratto di Harriet, un’artista con una grande fede nel suo lavoro, una lettrice e una pensatrice vorace. I suoi taccuini, presi in visione da Maise Lord, sorella di Harriet e impegnata nella produzione di un docu-film sulla vita della sorella artista, sono stratificati con una quantità (inebriante?) di riferimenti a grandi opere di psicologi, artisti, filosofi, scrittori, scienziati e teologi e collegati tra loro da diversi riferimenti e rimandi. Gli appunti registrano un sentimento di vera rabbia sull’autocompiacimento di molti nell’accettare le cose così come sono quando, al contrario, c’è stato un così duro lavoro intellettuale dedicato al progresso della propria arte. È una passione che brucia in ogni pagina.

Il romanzo è una brillante unione di conoscenze piena di giochi di parole intelligenti e innovativa tecnica narrativa; a questo proposito mi riferisco alle molte voci del libro di Hess con altrettanti personaggi che scandiscono i capitoli dove Hess parla di Brickman che parla di Burden. Magnifica sperimentazione di meta-letteratura di Siri Hustvedt; davvero sorprendente in un libro dove non mancano anche diverse intuizioni psicologiche e alcuni colpi di scena drammatici. Quello che appare in maniera impressionante, è questa conoscenza così profonda e panoramica su diverse discipline artistiche e scientifiche dell’autrice che si stratifica nel ragionamento del suo personaggio centrale perché si riferisce a questioni assai complesse e articolate che agitano il cuore della protagonista e la portano a creare un progetto artistico come Maskings così complesso e ingannevole.

Andando avanti, i racconti sia degli amici sia di chi non amò Harriet, offrono argomenti a sostegno delle dichiarazioni dell’artista. La domanda principale al centro di questo romanzo chiede se l’arte delle donne sia presa o meno sul serio.

Le risposte arrivano di seguito dalle diverse voci del meta-saggio di Hess con altrettanti esempi. Il primo da una psicoanalista di nome Rachel Briefman che dice: “Senza quasi eccezioni, l’arte degli uomini è molto più costosa dell’arte delle donne”. I soldi raccontano la storia”. Harriet fa eco a questo pensiero quando scrive nei suoi taccuini: “Il denaro parla. Ti dice cosa è apprezzato, cosa conta. Di sicuro non parla delle donne”. Oppure quella considerazione un po’ fuori dal coro di un artista di nome Phineas che riflette sulla superficialità dell’arte in mondo guidato solo dagli interessi. Per dire che non è una questione di genere quanto, invece, di soldi: l’arte è denaro.

In effetti, l’artista suggerisce nei taccuini che la questione di genere non è nemmeno la sua preoccupazione centrale: è più del sesso. Semmai, una delle sue preoccupazioni maggiori è la sua lotta contro il tempo, contro l’essere emarginati per sempre; ad un certo punto afferma: “Sto scrivendo questo perché non mi fido del tempo”. Il che mi sembra una questione nodale; appare come una vera dichiarazione alla vita.

Nel libro, i punti di vista sul ruolo dell’arte, sul danaro e sul destino, si scontrano l’uno contro l’altro fino a quando non viene presentato un ritratto a più livelli di questa artista. I suoi instancabili sforzi per creare e comunicare mostrano quanto sia disperatamente seria riguardo le questioni che solleva. Le domande che si pone Harriet sembrano giungere fino al lettore che deve però trovare le proprie conclusioni da solo.

Avendo trascorso la sua vita con un certo benessere, come moglie e madre ha raggiunto la mezza età con alcuni intoppi e turbata dalle questioni che la sua coscienza reclama ed è ora profondamente consapevole che se non renderà chiara la sua dichiarazione sulla sua idea di arte e quindi su se stessa, presto il tempo la sconfiggerà. Con precisione, osserva che: “…il tempo striscia. Il tempo cambia. La gravità insiste.” Il linguaggio, affilato come una lama, taglia il cuore di quello che lei intende. Attraverso brevi e drammatici frammenti di memoria rievoca alcune scene del suo passato: suo padre che non la voleva, , la crudeltà dei compagni di scuola che l’hanno fraintesa e infine la scoperta dell’infedeltà del marito il cui doloroso tradimento minaccia di smantellare il suo grande progetto artistico.

Ma, come dicevo all’inizio, c’è anche molto umorismo in questo romanzo.

La commedia è di tipo cerebrale: giochi di parole e barzellette che richiederebbero una nota a parte ogni volta per comprenderli appieno. Ma c’è anche un umorismo di genere, di senso contrario e più osceno, perché riduce l’importanza ridicola che gli uomini attribuiscono alla loro virilità. Dice: “Si preoccupano più per il flusso del loro seme che del tempo dato loro”. E’ un umorismo satirico che fa a pezzi in modo franco i nemici percepiti come tali da Harriet. L’artista prende in giro il mondo dell’arte e la sua parata di abitanti guidati dall’ego, ma altrettanto tristemente trova poco da ridere per quanto consideri l’arte una cosa seria. Ed è questo guardare l’arte la caratteristica forse più importante della personalità di Harriet. Il modo con cui lei prende il mondo così sul serio e si aspetta che lo facciano anche tutti gli altri.

Il fatto che lo faccia attraverso uno scherzo artistico così elaborato da poter essere compreso solo dopo la sua morte è di per sé tragico. Ciò che desidera veramente è il riconoscimento, non la vendetta. Sogna ad occhi aperti che dopo la sua morte qualcuno arriverà al suo lavoro annuendo del buon lavoro di fronte. Immagina: “ il mio critico immaginario fisserà a lungo e poi pronuncerà: ecco qualcosa, qualcosa di buono”. Sono pagine dolorose che culminano in una commovente dichiarazione di amore per l’arte. La creazione di qualsiasi arte è un atto di fede e la visione dell’artista una speranza di riconoscimento e comprensione tale da influenzare la cultura di cui fa parte.

Finisco. Siri Hustvedt è una scrittrice estremamente talentuosa e questo romanzo potrebbe essere il suo grande capolavoro. Il femminismo e le forme sperimentali di narrativa hanno sempre avuto una forte presenza nei suoi romanzi come “La donna che trema” (in realtà, questo, un saggio di psicologia femminile) mentre in “Quello che ho amato” si legge un doloroso romanzo sul mondo dell’arte di New York e la discesa all’inferno di una famiglia. “Il mondo sfolgorante” sembra sintetizzare le sue preoccupazioni e temi di studio principali e le trasforma in una storia davvero bellissima e coinvolgente.

La verità non sta in nessuno dei racconti dei personaggi raccolti nelle diverse testimonianze, ma tra le pagine e il modo in cui leggiamo le loro voci, costruiamo un’idea di Harriet. E per quanto l’immagine che ci é fornita appare incompleta, questo brillante romanzo riempie la nostra comprensione che, alla fine, non è l’artista stessa che conta davvero, ma l’arte che si lascia alle spalle. Come osserva Harriet: “Sono io stessa un mito di me stessa. Chi sono non c’entra niente “.

A un certo punto la personalità si dissolve e l’integrità delle idee dell’opera d’arte è ciò che determina la sua durata nel tempo. La mia speranza è che questo romanzo sopravviva per essere letto per molti, molti anni ancora.

per BookAvenue, Michele Genchi

Il LIbro.

Il mondo sfolgorante
Traduttore: Gioia Guerzoni
Editore: Einaudi, 2015
Pagine: 386


ndr.

Il titolo dell’articolo non è mio: é preso dal famoso libro di Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi editore


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