E’ la storia di un amore spezzato, di ciò che era e non è più. Una storia di infelicità coniugale, di rancori e nostalgia. Con un finale aperto, alla rabbia e alla voglia di crescere e ritrovarsi. Forse.
“Per un attimo stanno per darsi la mano, ma è solo un riflesso del passato… uno sbaglio. Sono stanchi, è facile distrarsi, non sapere più a che punto della vita sono. Se adesso o un anno fa”. Loro sono Delia e Gaetano, protagonisti giovani e insicuri di un matrimonio fallito, quello di cui ci parla Margaret Mazzantini nel suo ultimo libro «Nessuno si salva da solo» (Mondadori). “Mi piacerebbe salire… vedere i bambini” le dice lui all’ultima pagina, alla fine di quella cena immobile, consumata nello spazio chiuso di un ristorante, dove il mondo, che era e non è più, va e viene come un flash. “I bambini sono al centro del letto grande. Uniti come cose che si sono incontrate sotto il mare. Gaetano si avvicina, allunga il braccio, strofina. – Va bene”. E’ la vita che continua, la normalità.
Romanzo tosto e intenso, quello della Mazzantini. Come del resto è nello stile di questa scrittrice adorata o criticata, pur sempre piena di un’umanità che non può non travolgerti. E così capace di restituire ai lettori, attraverso grandi e piccoli affreschi letterari, quella quotidianità di sentimenti che sono poi la nostra esistenza. Ex attrice, sceneggiatrice, autrice pluripremiata (Grinzane, Strega, Campiello), moglie di Sergio Castellitto e madre di quattro figli dai 19 ai 4 anni, Margaret è un fiume in piena. Parla e consola capire che ciò che dice è quasi la tua vita, lo specchio di ciò che può accaderti un giorno qualsiasi, in un momento qualsiasi.
«Scusa sai, ieri ero inguaiata, dovevo andare dal dentista…». Se vuoi rimandiamo l’intervista… «No, tanto mi sono già organizzata per andare a prendere a scuola i bambini. Qui è tutta una corsa… Uno vuole una cosa, l’altro deve farne un’altra». E la contestano? «Eccome! Ieri quello più piccolo mi ha dato un calcio… E poi, sei brutta, non capisci niente… Per loro è un gioco. Cominciamo».
Senta Margaret, dieci anni fa lo Strega con “Non ti muovere”, poi il Campiello con “Venuto al mondo”. Ora il dolore di una coppia, intrappolata dall’incapacità di crescere. Perché questo libro così ‘intimista’?
«Avevo voglia di scrivere una storia contemporanea, di occuparmi di una coppia giovane che vive una passione iniziale e poi si sgretola. Forse perché ha messo su una relazione mediocre, forse perché ha un’età (i miei due protagonisti sono trentacinquenni) in cui hai ancora tutto davanti e ti senti dentro le crepe di un fallimento».
Grande osservatrice…
«Sono curiosa. Anche quando sono a cena fuori e Sergio mi chiede che fai? Zitto, gli dico, ascolto quello che succede al tavolo vicino… Insomma ho sempre le antenne accese. Del resto sono convinta che uno scrittore debba essere un po’ il radar del suo tempo».
Ma al centro dei suoi libri c’è sempre l’amore.
«E se non parli d’amore, di che parli? E’ il motore della nostra esistenza, un grande momento di felicità. E Delia e Gaetano l’hanno perso. Avevano sogni, velleità, un’intera vita davanti. E si ritrovano in quel ristorante, in quella situazione ferma, statica. Di fronte al corpo di un amore che muore. Sono naufraghi del nostro tempo».
Le parole dure che spuntano nella trama servono a questo?
«Forse c’è qualche parolaccia in più, ma volevo esprimere l’urgenza, la rabbia che abbiamo dentro. E poi vengo fuori da un libro forte, di guerra (“Venuto al mondo” ndr) e sentivo l’esigenza di raccontare una guerra di quotidianità».
Margaret, si può risorgere dalle macerie di una separazione?
«Lascio sempre uno spazio alla speranza. Però bisognerebbe anche domandarsi perché la coppia si separa. Perché butti in terra l’accappatoio?! Che cos’è l’amore, bo? E il disamore? I miei protagonisti non lo sanno proprio cosa gli è accaduto. Sono sommersi dal nulla».
Cos’è oggi la solitudine?
«Ha tante sfaccettature, è come la bassa marea. Siamo tutti un po’ più soli e a me piace raccontare la solitudine degli ultimi. Tanto di scarti e di immondizia ce ne abbiamo tanta!».
Quel titolo “Nessuno si salva da solo”…
«E’ la frase che dice il vecchio che cena con la moglie accanto al tavolo di Delia e Gaetano. E’ come risorto dal cancro, ama la moglie come un’adolescente. E’quasi un mentore, una figura guida che forse li aiuterà a ricominciare ad affrontare la vita. Del resto, chi si salva più da solo? Guardi cosa succede a Lampedusa o in Giappone. Siamo tutti uniti da uno stesso destino».
Margaret, lei e Sergio. Vi indicano come una coppia di perfettini. Lei gli dedica i libri, lui ne legge i brani alle manifestazioni. Sempre insieme, uniti…
«E’ faticoso, ma ci siamo sempre aiutati vicendevolmente. E tanto del mio talento nasce da una reciproca sensibilità. I detrattori poi ci sono sempre, peggio per loro».
Quattro figli e un futuro. Come lo vede?
«Mi auguro sia un futuro di contentezza. Che è un sentimento minore rispetto alla felicità (la raggiunge, che so? forse solo un monaco che vive nel deserto). E spero anche che diventino adulti coscienziosi, partecipi verso il mondo. Certo, tutto passa attraverso il nostro esempio, di madri e padri. Imperfetti, sì. Ma autentici con le nostre fatiche quotidiane e i nostri difetti. Nonostante che viviamo in un puttanaio, io so che l’Italia è piena di persone meravigliose e sensibili. Dobbiamo tutti tornare ad apprezzare la sana normalità».
di Laura Cinelli
da qn/quotiniano.net