Gianni Celati, uno dei più influenti scrittori italiani, non c’entra nulla con le chiacchiere, le ipocrisie e le invidie del rumoroso panorama letterario nazionale contemporaneo. “Ma non è per tenermi lontano da un mondo che sento lontanissimo che da 25 anni vivo lontano dall’Italia”, chiarisce il Premio Viareggio 2006 con “Vite di pascolanti” (Nottetempo). Negli ultimi anni il 74enne narratore, traduttore (al momento è impegnato in quella, per Einaudi, dell’ “Ulisse” di Joyce), docente di letteratura inglese, regista (tra gli altri, del conturbante documentario “Case sparse. Visioni di case che crollano”) ha concesso poche interviste. Si capisce subito perché: “Il rischio è sfociare nel pettegolezzo. E le grandi dittature del ventesimo secolo sono nate dalla riduzione di ogni pensiero sul vivere e sul morire proprio a slogan e pettegolezzi. Da qui nascono le masse telecomandate, ed è quello che sta avvenendo nell’attuale dittatura finanziaria”.
LONTANO DAL SISTEMA – Un pensatore libero e mai scontato come Celati questa volta ha accettato di parlare, non senza un’iniziale resistenza. “Un’intervista ha senso se alla base ci sono pensieri che macinano nuove idee e nuovi dubbi sullo stare al mondo e sulla nostra schiavitù quotidiana, altrimenti vengono fuori chiacchiere da furbastri televisivi. Se non c’è gusto e non c’è passione, non ne vale la pena”. Proprio a proposito di televisione, ad esempio, l’autore de “Lunario del paradiso” (Feltrinelli, 1978), non ha idea di chi sia Fabio Fazio, il conduttore di “Che tempo che fa”, tempio laico dove ogni finesettimana la tv “di massa” e quella “culturale” celebrano il proprio rito ibridatorio. Nessun dubbio che Celati non dica la verità: la sua etica esasperata non contempla la menzogna. “No, davvero non so cosa rispondere se mi chiede perché non sono mai stato invitato in questa trasmissione, francamente non guardo mai i programmi italiani”.
SU COLLEGHI E “FIGLI” LETTERARI – Gianni Celati non segue le nostrane vicende editoriali, non legge i giovani autori italiani, e non ha amici tra i nostri scrittori più conosciuti (intenso fu invece il suo legame con Italo Calvino, che lo aiutò a esordire con Einaudi). “Evito personaggi come gli scrittori-scrittori ufficiali, mentre ho qualche amico che, tra le altre cose, scrive. Quelli verso cui nutro più affetto sono Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati, Jean Talon, Ugo Cornia ed Enrico De Vivo. Abbiamo parlato tanto insieme, e sempre di gusto”. Quando, prima dell’ “auto-esilio” dall’Italia Celati insegnava al Dams di Bologna, tra i suoi allievi ha avuto futuri protagonisti della nostra letteratura recente, come il compianto Pier Vittorio Tondelli, oltre ad Andrea De Carlo ed Enrico Palandri (e artisti come Andrea Pazienza, anche lui venuto a mancare troppo presto, e il leader degli “Skiantos” Freak Antoni). A proposito di Tondelli, molti lettori dell’autore, tra gli altri, di “Altri libertini” e “Camere separate”, scomparso nel ‘91 a 36 anni, hanno scoperto (per innamorarsene subito) Celati proprio grazie agli elogi nei suoi confronti presenti in “Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni ottanta”, raccolta di saggi cult dello scrittore di Correggio uscita nel ‘90. “Tondelli volò subito con le sue ali. Era svelto di comprendonio, ed era più adatto di me a cavarsela nei traffici letterari”.
IL MASSACRO DELL’ANIMA – Nella sua vita, grazie ai suoi impegni universitari in Francia, negli Usa e oggi a Zurigo, Celati (nato a Sondrio nel ‘37, ma che ha trascorso l’infanzia nei pressi di Ferrara, in quella pianura Padana da sempre sfondi principale dei suoi libri) ha passato molto tempo con i ragazzi: “In realtà ho lasciato l’insegnamento, cioè il Dams, da 25 anni. Dopo, all’estero ho accettato lavori occasionali in varie università, per campare… Riguardo alle generazioni che verranno, temo che guarderanno alla letteratura attraverso un cannocchiale berlusconiano. Cioè come a qualcosa che è stato assassinato dai manager del capitalismo finanziario, poi messo nei musei come scheletro”. Il pessimismo di Celati è netto, e la sua visione del futuro, in questo senso “politica”, non ha speranze neanche quando riflette sul domani del nostro paese: “Osservando l’Italia da lontano, vedo una nazione dominata dai furbi, dai senza vergogna. Un paese ormai molto simile alla Spagna dopo l’avvento del generale Franco e del massacro di Guernica. Mi chiedo quando il tribunale dell’Aja si dedicherà a considerare tutte le forme di massacro dell’anima e del pensiero che i nostri attuali governanti praticano quotidianamente”.
Lo schivo narratore che nei primi due volumi della trilogia “Costumi degli italiani” (Quodlibet, 2008), ha raccontato con calviniana leggerezza i piccoli limiti di certa nostrana provincia è spietato: “L’Italia è un paese dove ogni forma di artigianato, compreso quello delle parole, sui giornali e sui libri, è stato massacrato. Un paese dove la vergogna non esiste più. Non esistendo più quest’ultima, non c’è più neanche il senso di precarietà del nostro stato d’essere come viventi. La vergogna serve sempre a svelarci il nostro essere…”.
LA MORTE E… IL BASKET Ma torniamo alla letteratura, e in particolare ai deliziosi racconti contenuti in “Costumi degli italiani” citati prima di cui si attende l’uscita dell’ultima parte: il nostro (che in “Fata morgana”, Feltrinelli, 2005, ha dimostrato di sapersi confrontare anche con mondi immaginari), li definisce “esercizi di narrazione che fanno parte di uno scartafaccio di appunti rimasti nel cassetto per vent’anni. Era come un diario dove annotavo pezzi di storie, che poi ho montato insieme un paio di anni fa. Erano scritture semplici, terra terra, con un clan di personaggi che tornavano. E con molte storie amorose, che fatico a rimettere in sesto”. Negli anni, lo stile narrativo di Celati è cambiato molto: “Invecchiando tutto cambia, le idee, gli amori, la circolazione del sangue, i ritmi mentali, il tono della voce… Succede a tutti”. Gli chiediamo del suo rapporto con la morte: “Fa parte delle aspettative e dei sogni, è la nostra ombra fedele, la cosa più onesta che ci capita. E’ quel punto dove non potremo più continuare a fare le nostre patetiche esibizioni di umani. Ma non possiamo avere alcun rapporto con lei!”. Di certo, nella quotidianità dell’ineffabile Celati la letteratura è ancora un piacere vitale: “Scrivo per il gusto di farlo, non ho altri scopi. Lei mi chiede se sto lavorando a un nuovo libro, ma io non sono uno scrittore professionista, e l’idea di lavorare a un libro è qualcosa che non ho mai avuto. Comunque no, in questo momento non scrivo niente”. La spiazzante chiusura è più leggera: “Del mio passato da giocatore di basket ricordo tutte le botte che ho preso. E a ricordarmelo ogni giorno c’è un polso squinternato!”.