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Una catastrofe autoinflitta. Intervista a Jonathan Safran Foer sui cambiamenti climatici
(tempo di lettura 10 minuti) questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2020
“Dobbiamo fare qualcosa“. Jonathan Safran Foer ha ripetuto questo mantra con frequenza e intensità crescenti negli ultimi anni, soprattutto i più recenti. Il suo civismo è emerso con ferma autorevolezza in risposta alle correnti questioni sociali americane come, per esempio, alle famiglie separate al confine messicano, altre volte per controllo delle armi, ma più spesso i suoi interventi hanno riguardato il cambiamento climatico.
Nel suo ultimo libro: Possiamo salvare il mondo primadicena, uscito recentemente per Guanda in Italia prima che negli USA racconta, a un certo punto, che la faccenda del cambiamento climatico e delle ricadute sulla pelle delle persone era per lui diventata intollerabile. Foer confessa cosa pensava di sapere sulla crisi ambientale e cosa gli individui potevano fare a riguardo, limitandosi però alle: 1) cannucce di plastica = cattive 2) riciclaggio = buono. Ha compreso, proprio a quel certo punto di avere bisogno di sapere più compiutamente e in maniera strutturata cos’era il cambiamento climatico e come funzionasse.
Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza
"... Le lumache sapevano di essere lente e silenziose, molto lente e molto silenziose, e sapevano anche che quella lentezza e quel silenzio le rendevano vulnerabili...
Lo scoiattolo squittisce e salta svelto di ramo in ramo, il cardellino e la gazza volano veloci, uno canta e l’altra stride, il gatto e il cane corrono veloci, uno miagola e l’altro abbaia, ma noi siamo lente e silenziose, è la vita e non c’è niente da fare..."