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Nel 1932, il giudice della Corte Suprema Louis Brandeis definì i 50 stati americani “laboratori di democrazia”, dove nuove politiche potevano essere incubate, testate e diffuse ad altri stati.
Jacob Grumbach utilizza una massa considerevole di dati per osservare criticamente una nuova diffusa consapevolezza che registra, semmai, il contrario: i governi statali sono diventati, secondo le parole dell’autore, “Laboratori contro la democrazia“: titolo del libro e oggetto della riflessione che segue.
Non invento nulla se dico che per molti osservatori la politica americana è diventata a dir poco imbarazzante. Nell’ambiente profondamente partigiano, oggi sotto gli occhi attoniti del mondo, i governi statali (inteso come West Virginia, Texas, New Hampshire, Ohio, e via-via gli altri) sono spesso dominati da uno dei due partiti nazionali. In teoria, i legislatori a livello statale dovrebbero essere più vicini ai loro elettori-cittadini e quindi più reattivi alle loro esigenze con buone pratiche, di cui l’incipit. In pratica, questo non succede. D’altro canto, gli elettori prestano sempre più progressivamente meno attenzione alle elezioni statali rispetto a quelle di livello federale, consentendo la scelta di candidati scarsamente preparati e più spesso estremisti. È come il cane che si morde la coda; i risultati politici sono sempre più separati dall’opinione pubblica; un esempio calzante, sono i divieti sull’aborto approvati da molti stati l’estate di due anni fa. (ndr.il 2022)
Suggerisce nulla?
Peggio. Poiché gli stati esercitano l’autorità costituzionale sulle regole elettorali, molti di questi, controllati dai repubblicani e intenzionati a sopprimere l’affluenza alle urne degli elettori democratici, sono diventati una minaccia per la democrazia americana in generale. Grumbach sottolinea che, nell’interesse della democrazia e della giustizia, i ruoli degli Stati e governi locali dovrebbero essere ridotti nel lungo termine. Il federalismo legislativo fa male al loro sistema della demos. Un allarme, questo, anche noi.
Nel corso della generazione passata, i partiti democratico e repubblicano sono diventati, ciascuno a suo modo, formazioni politiche coordinate a livello nazionale. Un po’ come accade da noi dove i partiti a livello regionale contano poco e niente perché tutto si decide nelle direzioni nazionali. D’altra parte, le istituzioni politiche americane rimangono, per loro natura, altamente decentralizzate: potete capire il cortocircuito in essere. Laboratories Against Democracy mostra come i conflitti politici statali fluiscano sempre più attraverso le istituzioni (sub)nazionali della politica statale, con profonde conseguenze per la politica pubblica e la stessa democrazia americana. E’ un fenomeno che in Italia conosciamo bene: la cattiva politica cade a pioggia sul cittadino.
Jacob Grumbach sostiene che, man mano che il Congresso si è bloccato causa la partigianeria dei due schieramenti, i governi dei singoli stati dell’unione, in passato capaci di processi decisionali decisivi per la vita delle persone, siano a loro volta bloccati dai semafori intermittenti della politica nazionale. A dimostrazione di come la democrazia americana sia ferma al palo, l’eventuale vittoria di Trump alle prossime presidenziali, rischia la possibile ritirata degli Stati Uniti dal ruolo di sceriffo globale a guardia delle aree di crisi. In attesa della sua venuta, senza essere blasfemo mentre lo dico, la politica interna e internazionale sono ferme; vedi i finanziamenti e sostegni per l’Ucraina.
Il libro mostra come la sottrazione di politiche nazionali su temi fondamentali, abbia avuto l’ironica conseguenza di rendere la politica nei singoli stati molto variabile tra loro. Ad esempio: i partiti rosso e blu implementano programmi sempre più distinti in aree come l’assistenza sanitaria. Il che vuol dire che l’appendicite nel Texas non è curata come in California e costando diversamente tra gli stati, anche a parità di attività ospedaliera. Per non parlare di diritti delle donne in fatto di maternità o, chessò, scuola e cambiamento climatico. Negli Stati Uniti alcune miliaia di donne sono costrette a spostarsi da uno stato all’altro per abortire perchè in quello di provenienza è un diritto negato. In Italia non stiamo messi meglio: con l’autonomia differenziata votata di recente, stiamo felicemente e molto velocemente andando incontro a disastri come questo.
Le conseguenze, però, non si fermano qui. Attingendo a una ricchezza di dati abbastanza aggiornati sulla politica statale, sull’opinione pubblica, sul denaro in politica e sulla performance democratica, Grumbach traccia come i gruppi nazionali, democratici e repubblicani, ma questi ultimi in particolare, stiano usando le autorità governative statali per sopprimere il voto, modificando i distretti elettorali a ogni cambio della guardia per favorire l’uno o l’altro schieramento -il cosiddetto gerrymander– ed erodere le fondamenta della democrazia stessa.
Finisco. Lettura obbligatoria in questo momento così precario della nostra vita politica, alle prese con la perenne rincorsa al consenso più che “fare” quello che serve al paese, Laboratories Against Democracy rivela come il perseguimento di agende partigiane, intese più per essere contro qualcuno che a favore di tutti, abbia intensificato le sfide che la democrazia americana deve affrontare e si chiede se i governi statali, con mille sistemi diversi di voto, oggi stiano riducendo la misura delle crisi politiche del loro -e nostro- tempo o accelerandole.
Quali esempi per noi? Come agire politicamente per affrontare le sfide competitive del ventunesimo secolo?
per BookAvenue, Michele Genchi
il libro:
Jacob Grumbach,
Laboratories Against Democracy,
Princeton University Press,
ed.2022, 288 pp
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