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Claudio Rigon, I fogli del capitano Michel

Tutto parte da una scoperta nell’archivio del Museo del Risorgimento di Vicenza. Claudio Rigon è un appassionato di fotografia e, vagabondando per l’Altipiano di Asiago con una macchina fotografica e un cavalletto, si sente attratto dall’atmosfera di Monte Ortigara, “da quel territorio particolare che comincia con il suo crinale e si estende poi a sud-ovest per un’ora di cammino, fino ai piedi di Cima Dodici.”

Incontra rovine, resti di baraccamenti, trincee, in un paesaggio che in certi momenti sembra ancora il dopo di una battaglia.

Giulio Mozzi, Sono l’ultimo a scendere

Non è facile scrivere un blog. Soprattutto non è facile scriverci tutti i giorni in maniera interessante e originale stabilendo un dialogo con i propri lettori, non forzando la mano e rispettando le opinioni altrui. Sono l’ultimo a scendere (e altre storie credibili) di Giulio Mozzi è una sorta di “diario pubblico” (secondo la definizione dell’autore) tratto dal blog dello scrittore padovano, uno dei primi autori italiani ad aver utilizzato il web per comunicare dimostrando di saperci fare. E bene.

Vasilij Grossman, Storia e destino

Un romanzo che sembrava irrimediabilmente perso, ma che è stato ritrovato. Una storia talmente affascinante e avventurosa che lo scrittore voleva fosse come “Guerra e pace”, un romanzo corale in cui i veri protagonisti sono gli umili, che in queste pagine cercheranno di cambiare il loro destino. “Vita e destino” di Vasilij Grossman doveva avere come titolo “Stalingrado”, ma cambierà in “Per una giusta causa” dopo la prima redazione. Sarà pubblicato in fascicoli nel 1952 sempre con questo nuovo titolo che intendeva assecondare le autorità e quindi ovviare alla censura. Nel 1953 muore Stalin, “senza che ciò fosse pianificato”, commenta in modo beffardo Grossman, che finirà un secondo volume sulla battaglia di Stalingrado.

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Emanuele Tonon, il Nemico

copertinaÈ un libro in cui si racconta da una parte il rapporto con il padre, la vita e soprattutto la morte di un padre operaio, dall’altra invece della vita di coppia narrata fino a una fine inesorabile. Un romanzo estremamente duro, una denuncia della condizione operaia, il cui asse portante è di carattere teologico, una riflessione sul posto di Dio nel mondo. Un Dio però impotente di fronte alla sua creazione.
“Viviamo in un’ epoca di Dio e di dolore, il mondo oggi sembra essere stirato con forza sotto l’azione del dolore”, scriveva Kazoh Kitamori, eminente teologo luterano giapponese. Il Dio di questo libro non salva, è un Dio che dovremmo amare, ma che ci ha stancati, delusi, reso infelici.

Alice Munro, In fuga

Alice Munro ha scritto di volere fortemente che «il lettore assista a qualcosa di straordinario – non in quello che succede ma nel modo in cui succede.»
“In fuga” riunisce otto racconti di Alice Munro, tre dei quali sono legati fra loro per la presenza dello stesso personaggio in differenti momenti della sua vita.
I racconti, costituiti come episodi, sono tre: “Fatalità”, “Fra poco” e “Silenzio”.
Uno stile impeccabile, nitido, energico, quello della Munro che confonde sempre il lettore con la sua spavalda purezza.
Il racconto ha un andare sommesso, l’autrice in poche parole sa delineare uno stato d’animo, un tratto distintivo, un episodio e può condurti là dove un fatto repentino, impensato oppure auspicato, trasforma il rapporto del personaggio con la realtà.

Terézia Mora, Tutti i giorni

Terézia Mora è ungherese di sangue tedesco e croato. Scrittrice nota alla critica e al pubblico per la sua scrittura cristallina, vive a Berlino dal 1990. Ha vinto diversi premi importanti col suo primo libro, la raccolta di racconti “Seltsame Materie”, fra cui l’autorevole Ingeborg-Bachmann-Preis 1999.
E’ una delle traduttrici più apprezzate dall’ungherese in tedesco. Tra i vari autori, ha tradotto in tedesco il romanzo Harmonia Caelestis di Peter Esterházy (Berlin Verlag 2001).
Terézia Mora ha amato molto l’Ungheria ma, con dolore, ha riconosciuto che lì forse non riuscirebbe più a vivere. E’ bilingue, ma scrive in tedesco, la lingua della nonna. Ripudia però il legame con la nazione tedesca, pur rifiutando e disprezzando la definizione di “europea dell’Est”.

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Francesco Savio, Mio padre era bellissimo

copertinaFrancesco Savio è al suo primo romanzo e ha scritto una storia che si legge con piacere, grazie ad una scrittura morbida, limpida, armoniosa e capace di coinvolgere.
Un ritmo lento, dolce e pacato scandisce un’armonia di parole in accordo fra loro. Un libro dai tocchi lievi e delicati, ricco di immagini. Immagini che ti si stampano nella mente, e che portano con sé domande.
Il protagonista è Nicola, un bambino di nove anni che vive metabolizzando un lutto, quello di suo padre.
In certi momenti si sente solo, abbandonato, avverte la sensazione fisica del distacco. Per Nicola, però, la relazione col padre è stata positiva e quindi interiorizza il genitore perduto come una presenza protettiva. Cerca quindi di non perdere la quotidianità che aveva con lui, quasi a voler continuare la relazione, come se questa continuità lo rasserenasse e dirigesse il dolore verso qualche cosa di reale. Si viene così a creare un processo di identificazione del bambino con il genitore che non c’è più.

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Massimiliano Naglia, Gli occhi della solitudine

copertinaVedi alla voce: amore.

Ho letto e riletto il libro di Massimiliano Naglia senza decidermi a scrivere qualcosa che fosse degno delle parole lette e capace di convincervi a fare altrettanto.
Gli occhi della solitudine è un libro d’amore, lo dico subito. E proprio perché parla di amore, riflette l’esperienza di ognuno sul proprio. Siamo amati abbastanza? Amiamo abbastanza? Che domande ingenue: come se l’amore si possa misurare in termini di peso senza guardarne la consistenza oppure l’inconsistenza. Ci sono amori che, col senno di poi, misuriamo come tali. Dipende dalla portata degli istanti indimenticabili, a dirla con l’autore.

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Daria Galateria, Mestieri di scrittori

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La poesia non dà pane, come dicevano gli antichi, e anche sulla prosa, nella maggioranza dei casi, non si può fare troppo affidamento. Lo sanno bene gli scrittori che, prima di venir riconosciuti (e sufficientemente compensati) come tali, hanno dovuto adattarsi ad ogni sorta di lavori e quelli che, per necessità o per scelta, si sono divisi per tutta la vita tra lavoro e letteratura. Il fenomeno è sempre esistito, tanto che le lamentazioni del poeta in miseria costituiscono una sorta di genere letterario; ma in epoca moderna, quando la cultura ha cominciato a non essere più appannaggio delle classi agiate e del clero, a non godere più della generale considerazione e a perdere di conseguenza il sostegno delle diverse forme, pubbliche e private, di mecenatismo, il capitolo degli esordi difficili e dispersivi e quello della letteratura come secondo lavoro figurano in quasi tutte le biografie degli scrittori.