Tutto parte da una scoperta nell’archivio del Museo del Risorgimento di Vicenza. Claudio Rigon è un appassionato di fotografia e, vagabondando per l’Altipiano di Asiago con una macchina fotografica e un cavalletto, si sente attratto dall’atmosfera di Monte Ortigara, “da quel territorio particolare che comincia con il suo crinale e si estende poi a sud-ovest per un’ora di cammino, fino ai piedi di Cima Dodici.”
Incontra rovine, resti di baraccamenti, trincee, in un paesaggio che in certi momenti sembra ancora il dopo di una battaglia.
Avverte un sentimento di desolazione, sente dentro un profondo senso di distruzione, una “sensazione più vicina al vagare nel deserto” mai provata in montagna. La vita scorre davanti a lui in un flusso ininterrotto. Fissarne un frammento in un’immagine è una possibilità di fermare il tempo e osservare quello che avviene. Gli viene allora “voglia di cercare immagini di quel tempo, della vita di allora” e per questo va in quel Museo in cui sa esserci un archivio fotografico della guerra. Qui trova diverse piccole fotografie di soldati che attirano la sua attenzione. Fanno tutte parte, insieme a carte, lettere, documenti, della «donazione Michel». Nella busta ci sono anche dei fogli, di misure diverse, ripiegati a metà. “Sono perlopiù grandi come un foglio di quaderno o giusto la metà; ma ce ne sono anche di più piccoli e alcuni poi sono su un intero foglio protocollo.” Raccontano di pattuglie in esplorazione nella notte davanti alle trincee austriache, ma anche della vita di tutti i giorni al fronte, di un bombardamento e di morti davanti a Monte Ortigara.
Sono fonogrammi con cui alcuni reparti di un battaglione alpino si trasmettevano ordini e notizie varie. Quasi delle moderne e-mail, scritte però a mano da alcuni ufficiali, e consegnate da portaordini.
“Mi sorprende la loro scrittura che è in genere piana, ordinata, pulita; controllata anche quando dice cose che sarebbero, per noi ora, insostenibili. Solo in alcuni, certi segni sono quasi dei colpi, tradiscono un nervosismo, una rabbia, a volte forse una paura.” Coprono un periodo cha va dal 24 giugno al 29 luglio del 1916. Il capitano Michel, proprio quei giorni, era stato promosso e aveva preso il comando di un battaglione rimasto quasi senza tutti i suoi ufficiali. Toscano di Livorno, prima di andare in guerra, era un insegnante di storia e filosofia, appassionato di storia del Risorgimento.
“Ogni biglietto mi colpisce, su ognuno mi soffermo. Quando ne prendo uno in mano mi accorgo che non lo trattengo con le dita – solo un attimo per sollevarlo: lo lascio come sospeso nel cavo della mano, lo soppeso, lo interrogo. La mia timidezza non è solo paura di sgualcirlo: è stato scritto ottantacinque anni fa da uomini che erano i nostri nonni (per me, per la mia generazione), che si sono trovati lassù, in quei luoghi, fra quelle pietre, su queste nostre montagne, a vivere qualcosa che è difficile anche pensare, ora, essere stata possibile.” Rigon lavora molto da vicino su quei testi, ne legge attentamente ogni riga, ma anche ripercorre a piedi gli stessi luoghi. Sente che le parole scritte hanno vita propria, “un loro ritmo, un movimento.” Anche se sono solo dei frammenti di vita di quelle giornate, delle voci rimaste a testimoniare che, senza volerlo, raccontano una storia.
La storia si rivela pagina dopo pagina, indizio dopo indizio rivelando una miniera ricca di gemme di inestimabile valore. Una storia di “uomini in armi” in tempi difficili che hanno trascorso alcuni anni importanti della loro vita nelle trincee. Rigon riporta piccole storie intrecciate tra loro, apparentemente troppo confuse per essere comprese a una prima lettura che, in un certo senso legate fra loro, consentono a chi le legge di ricomporne i tasselli.
Claudio Rigon, I fogli del Capitano Michel, Einaudi
Marco Crestani