Un mondo sommerso e nascosto, che viaggia in circuiti spesso alternativi e marginali. Stimolando riflessioni di spessore e formando non solo “addetti ai lavori”, ma educatori e insegnanti, studenti e amministratori, appassionati del settore e molti altri. Osservando i numeri di case editrici, riviste e siti web dedicati al sociale, nella prima ricerca che prova ad esplorare questo complesso pianeta in Italia, emergono cifre tutt’altro che modeste: oltre 500 gli editori presi in esame che si occupano esclusivamente o soprattutto di produzioni su questi temi, più di 800 le collane specifiche su politiche sociali, economia solidale, scuola, immigrazione, ambiente, cooperazione internazionale… Con 1.600 novità all’anno, 50mila titoli disponibili, decine di migliaia di lavoratori.
Con uno sguardo alle quasi 400 riviste scelte come campione su circa 8.700, mentre si stimano 55mila siti web che riempiono di contenuti non solo la home page, superando i 9 milioni di contatti giornalieri. È solo uno spaccato, in sintesi, dei sorprendenti risultati offerti dal primo «Rapporto sull’editoria sociale» nel nostro Paese, che verranno presentati stamattina durante una conferenza stampa a Palazzo Valentini – sede della Provincia di Roma – e illustrati venerdì in apertura del Salone dell’editoria sociale, giunto alla seconda edizione.
Redatta dai promotori dell’iniziativa (Edizioni dell’Asino, le riviste «Lo straniero» e «Gli asini», agenzia «Redattore sociale», Comunità di Capodarco, associazione Lunaria), la ricerca delinea gli ampi e ancora incerti contorni della produzione editoriale squisitamente “social”. Il quadro «è quello di una vasta realtà profit e non profit che spazia dalle pubblicazioni più specialistiche a quelle più generaliste, con un crescente ruolo delle organizzazioni di terzo settore che si fanno “editori”, svolgendo un’importante funzione di promozione sociale» sia a livello qualitativo che quantitativo, specificano i curatori.
Partendo da un campione di 479 case editrici grandi, medie e piccole, in testa a quelle che si occupano di sociale compare il Lazio con il 27,4%, seguito da Lombardia (12,8%), Emilia Romagna (14,5%) e Piemonte (12%). E se il Nord registra presenze più alte, il Sud avanza con la vivacità di Calabria, Campania e Sardegna. I temi che “tirano” di più? Ambiente e beni culturali, cultura e sport, diritti civili e studi di genere, lavoro e sindacato, scuola e turismo responsabile, economia e globalizzazione, welfare, pace e solidarietà, salute e intervento sociale. Nessuno «supera il 20% tra i titoli e le collane prese in esame», avverte la ricerca, evidenziando però che argomenti come la scuola, l’educazione, la cultura e lo sport «da soli rappresentano un terzo di tutte le collane sociali esistenti». E i linguaggi comprendono un registro ampio: divulgativo o di settore, professionale o artistico e letterario.
Tuttavia il censimento non è stato affatto semplice, anzitutto per le fonti Aie e Istat «troppo frammentate, scarsamente organiche, senza significativi approfondimenti sul tema». Inoltre la categoria del sociale di per sé presenta problemi di “delimitazione” del suo significato, associato spesso alla gratuità delle produzioni. «Anche se le organizzazioni non profit di volontariato e di solidarietà distribuiscono ogni anno milioni di pubblicazioni gratuite che si occupano di importanti temi sociali», talvolta questo tipo di operazione è finalizzata «al marketing e alla promozione pubblicitaria nel campo del profit». Si tratta, in ogni caso, di una fetta considerevole del fenomeno: infatti si stima che le realtà non profit «stampino ogni anno più di 60.000 titoli con una tiratura di più di 90milioni di copie, di cui circa il 90% distribuito gratuitamente: spesso si tratta di pubblicazioni inviate ai soci».
Sfugge alla ricognizione, quindi, «proprio quella letteratura sociale “grigia”, priva di Isbn, che non va in libreria, non è codificata e censita e che però rappresenta sicuramente la maggior parte di quella prodotta dalle organizzazioni non profit». Una bella fetta delle attività editoriali del non profit, infatti, ha soprattutto un obiettivo di sensibilizzazione e informazione, non ponendosi nel mercato, fuori «dai luoghi tradizionali dell’acquisto e della vendita; anche questa va riconosciuta e – avendo un altissimo ruolo sociale – deve trovare forme di valorizzazione e di sostegno», auspicano i redattori del Rapporto, suggerendo in futuro una possibile «legislazione ad hoc» che possa regolamentare un’attività non concorrenziale.
E pur riconoscendo i limiti di questa prima indagine – per i dati ancora lacunosi e i problemi di metodo -, gli autori sperano che i «confini sfumati» si definiscano. Facendo uscire il “sociale” «dalla sua nicchia e dall’autoreferenzialità», per renderlo «un settore riconoscibile e connotato». Anche perché, ed è decisamente una buona notizia, l’editoria tradizionale lo sta “scoprendo” «nella saggistica, nel reportage giornalistico, nella narrativa, nelle arti e nella poesia