La democrazia di Joe Biden

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I Repubblicani non avrebbero potuto sperare in uno scenario post-elettorale migliore, soprattutto dopo la battuta d’arresto subita nelle elezioni di metà mandato del 2022. Il GOP sembra destinato ad ottenere una vittoria su tre fronti: la Casa Bianca, il Senato e molto probabilmente la Camera dei Rappresentanti.

La presidenza di Joe Biden dalla Casa Bianca ha rappresentato il trionfo massimo della democrazia nei confronti delle sue degenerazioni tanto temute e studiate nell’ultimo decennio o, al contrario, è il segno più evidente di tali cambiamenti, ormai sempre più reali e tangibili? La risposta più naturale pare essere la prima, la degenerazione populista, estremista, trumpista come ormai è uso comune definire, non è stata del tutto sconfitta. L’errore non è stato corretto, la storia insegna che gli sbagli non vanno mai ripetuti e l’uomo osserva sempre in silenzio tutto ciò che il tempo rivela.
Dal 1993 ad oggi tutti gli ospiti della Casa Bianca hanno dovuto terminare il loro soggiorno solo per l’impossibilità di candidarsi nuovamente per un terzo mandato, l’ultimo presidente costretto a lasciare l’incarico dopo i primi 4 anni è stato Bush padre, insomma un messaggio forte e chiaro per Donald che, al contrario, già accarezza l’idea forte della conquista di Camera e Senato nella vittoria piglia tutto di una settimana fa.

Hanna Arendt nel 1958 partoriva il concetto di public realm, lo spazio pubblico, concetto che vede nel pubblico dei cittadini il depositario dei processi e delle strutture della democrazia. Secondo la Arendt è nella polis greca che troviamo l’esempio massimo di uno spazio condiviso da liberi cittadini che usano un linguaggio comune, cercando di persuadersi l’un l’altro. Habermas 4 anni dopo, nel 1962, definisce il suo concetto di sfera pubblica borghese, in linea con la definizione della Arendt, immaginando però, come luogo ideale per lo sviluppo democratico, i salotti, i circoli e i caffè di Londra e Parigi. Come in Grecia, anche nell’Europa della prima modernità la sfera pubblica è costituita in primis dalla discussione e dal confronto, cioè dallo scambio di parole all’interno di un luogo condiviso. Lo scambio e la discussione tra le parti sono possibili solo in un ambiente di non coercizione, soltanto così il momento della scelta, climax e traguardo del lungo percorso-scontro tra opinioni e pensieri liberi si conclude; l’interminabile viaggio democratico prende vita solo con quel breve, intenso e travolgente, baleno che è la scelta del vincitore.

Possiamo in questo modo descrivere la scienza politica in termini fisici, abbiamo definito il tempo e lo spazio, il contenitore della democrazia è chiaro, giace lungo le due dimensioni della realtà. Ma manca ancora il contenuto. Il pensiero comune non associa, fortunatamente, la nascita della democrazia all’effettivo momento storico in cui questa forma di governo appare per la prima volta. Nella Grecia antica il potere non era nelle mani di tutti: lo scontro avveniva in pubblico, le forze in gioco erano più d’una, ma a scontrarsi non era il pubblico e a detenere la forza erano certamente in pochi. Le reali vittorie della democrazia sono esclusivamente legate all’ottenimento del potere da parte delle minoranze, intese come chi non detiene diritto d’autorità: le differenze etniche, religiose, di genere e sociali hanno sempre caratterizzato la difficoltà di ottenimento del potere.

Le tappe più importanti del processo democratico sono quindi associate alla rottura di queste barriere, quando la volontà del più debole vale quanto quello del più forte, quella è la democrazia. Quando tali minoranze riescono ad ottenere la possibilità di scelta difficilmente rimettono il potere nelle mani di chi già lo deteneva senza il loro consenso, anche in casi in cui forse sarebbe per loro più conveniente. È un processo psicologico abbastanza intuitivo in cui possiamo riconoscersi tutti in un qualunque momento della nostra quotidianità. A rigor di logica possiamo allora concludere che la democrazia, quella autentica, si realizza quando le minoranze acquisiscono il potere di scelta, se ciò avviene lo scontro è vinto tendenzialmente dal favorito delle suddette minoranze, storicamente in conflitto con chi deteneva il potere in precedenza, con chi definiamo parte dell’establishment. Establishment è una parola che suscita naturalmente fastidio: chi non odia l’establishment? Nessuno ne vuole fare parte, è un gruppo così fragile e cangiante ma allo stesso tempo solido e immutabile che risulta persino difficile da descrivere.

Spesso la democrazia viene raccontata, per poterla visualizzare in maniera più nitida, sotto forma di rivolta, o di rivoluzione. È celebre il dialogo risalente all’anno 1789 tra Luigi XVI e il duca di Liancourt. Il primo domanda: “Mais c’est une révolte?” e il secondo risponde: “Non, Sire, c’est une révolution!”. Sappiamo bene quale è stata la sorte del Luigi in questione. L’abolizione della monarchia assoluta, l’eliminazione delle basi economiche e sociali dell’Ancien Régime; la rivolta del popolo al giogo dell’autorità tradizionale weberiana è la massima realizzazione della democrazia, la rivincita degli oppressi, la voce dei poveri e degli schiacciati, la sconfitta e l’eliminazione, fisica, dell’establishment, queste sono le basi delle future rivoluzioni democratiche del XIX secolo. La Carta del 1814 garantiva un sistema legislativo bicamerale, di cui la seconda era una camera dei deputati elettiva. Come mai allora il periodo della Restaurazione Francese, con il ritorno della monarchia borbonica, dove il potere che, come calamitato, è nuovamente nella mani di chi lo aveva tanto amato negli anni passati, non viene certo ricordato, forse a torto, come svolta fondamentale per l’affermazione della democrazia? Abbiamo anche il contenuto: potere al popolo, morte ai potenti. Il legame ideologico che la Francia, patria della democrazia, instaura con un paese quali gli Stati Uniti è evidenziato dal contenuto di quelle circa duemila casse regalo che passò alla storia per essere uno dei simboli della democrazia: la Statua della Libertà. Le elezioni del presidente americano non possono quindi che essere uno dei termometri più accurati per misurare la salute della democrazia nel mondo.

Confrontiamo l’Election Day: 5 Novmbre 2024 vs 3 Novembre 2020.
Trump ha stravinto. Quattro anni fa ha vinto Joe Biden. Nell’election day, 2024 Trump ha vinto anche il voto popolare con tremilioni di voti di scarto da Kamala Harris (76M vs 73): è stata una vittoria schiacciante anche se ha vinto con il risicato 50,2% di chi ha votato. Si sa: negli USA il voto popolare non sempre esprime il numero dei grandi elettori attesi nè le percentuali. Ed è così che Trump ha vinto con 312 seggi. Mentre forma la squadra di goveno, il Tycoon già pensa ad un (improbabile) terzo mandato. Sostenitori e oppositori di Donald Trump hanno già ventilato la possibilità che il presidente eletto possa correre per un terzo mandato tra quattro anni.
La speranza, e il timore nel caso dei detrattori del tycoon, derivano da alcuni suoi commenti in cui ha accennato alla possibilità di tornare a candidarsi nel 2028.
Tuttavia, Trump non può candidarsi per un terzo mandato presidenziale perché la Costituzione degli Stati Uniti lo vieta esplicitamente. Il 22esimo emendamento afferma in modo specifico e inequivocabile che nessuno può essere eletto presidente più di due volte, sia per mandati consecutivi che non consecutivi, come nel caso di Trump. Per ricandidarsi, il presidente eletto dovrebbe abrogare il 22esimo emendamento, il che sarebbe quasi impossibile in quanto richiede uno schiacciante sostegno da parte della Camera dei Rappresentanti, del Senato e dei singoli Stati. Un potenziale percorso di modifica della Costituzione richiederebbe infatti il consenso dei due terzi della Camera e del Senato, oltre che del 75 per cento degli Stati americani.
In un altro caso, 34 Stati su 50 dovrebbero essere d’accordo nell’indire una Convenzione dell’Articolo V per discutere qualsiasi potenziale modifica alla Costituzione. Anche se la Convenzione ricevesse un sostegno sufficiente per svolgersi, qualsiasi modifica proposta dovrebbe ricevere l’appoggio di 38 Stati.
Data l’inevitabile opposizione dei democratici alla mossa, così come dei Repubblicani che potrebbero essere contrari, Trump non sarebbe sicuramente in grado di raccogliere un sostegno sufficiente nemmeno per tentare di abrogare l’emendamento.

Più di 150 milioni di elettori hanno partecipato alla tornata elettorale più difficile della storia USA a testimonianza dei 50milioni in più della precedente. Nel 2020 circa 100milioni di americani votarono alle elezioni per il 46esimo presidente degli Stati Uniti. Nel 2016 erano state circa 50 milioni, l’aumento, quattro anni fa è stato superiore al 100%. I voti ricevuti precedentemente rispetto all’election day si sono poi rivelati essere fondamentali per la vittoria di Joe Biden.

Paradossalmente Trump vince con gli stessi argomenti di Harris, la quale si è spesso “spostata” tra le posizioni moderate della società amaricana tentando il tutto per tutto in una campagna elettorale di due soli mesi e sfrutta le debolezze di quest’ultima per creare consenso. La sfida si è consumata nella piazza comune delle idee: il salario minimo orario, il potere di acquisto delle famiglie, Il problema dell’immigrazione. Eppure, nonostante Il 76% dei cubani, sono arrivati in florida tra il 2010 e il 2015, ebbene, questi si sono identificati come repubblicani e supporter di Trump. La tendenza è stata molto simile anche in Texas, in particolare nelle contee al confine con il Messico. Nella più grande di queste, Hidalgo, con il 90% di abitanti latinoamericani, I democratici hanno dimezzato il loro margine rispetto al 2020 e preso meno di un quarto rispetto il 2016; Quanti di questi fanno parte del tessuto sociale più oppresso d’America? Sicuramente i Dem hanno ancora il pieno supporto degli afroamericani, ma il risultato di quest’anno, con l’77% di voti, è in discesa rispetto a quello di 4 anni fa, quando ottennero l’89% e nettamente in calo rispetto alla quasi totalità conquistata da Obama nel 2008, che raggiunse il 95%.

Il dato più sconcertante è però un altro, infatti quest’anno Harris ha ricevuto, come Biden nel 2020, l’esplicito sostegno da parte della sinistra più estrema, rappresentata da Bernie Sanders, e dall’amico, nonché ex presidente democratico Barack Obama, ma anche dall’ex presidente repubblicano George W. Bush, sotto cui si avviò la seconda guerra del Golfo, e dalla anziana Cindy McCain, moglie del defunto John McCain, ex militare e senatore repubblicano dell’Arizona. L’establishment ha perso, il Gop si è ricompattato, o forse tutti gli oppositori interni di Trump hanno perso, e solo così il tycoon è riuscito a vincere.

La vittoria di Trump è stata sicuramente un trionfo per quasi tutti noi amanti della democrazia elettiva in Europa e nel mondo. Forse, sapere che ha vinto Trump lo è un po’ meno per la democrazia stessa.

Per Bookavenue, Michele Genchi, Pietro Valfrè

fonti:

Pietro Valfré
“Presidential Election 2024 Live Results: Donald Trump wins”NBC News.
2024; “2024 US Presidential Election Results: Live Map”ABC News.
Tumin, Remy; Rogers, Katie (November 6, 2024). “Harris Will Deliver Concession Speech to Nation After Losing to Donald Trump”The New York Times.
Gold, Michael; Nehamas, Nicholas (March 13, 2024). “Donald Trump and Joe Biden Clinch Their Party Nominations”The New York TimesArchived from the original on March 13, 2024.
“Presidential Election 2024 Live Results: Donald Trump wins”NBC News.

 


Il libro

Un ricordo profondamente toccante dell’anno che cambierà per sempre una famiglia e un paese. Nel novembre 2014, tredici membri della famiglia Biden si sono riuniti a Nantucket per il giorno del Ringraziamento, una tradizione che celebravano da quarant’anni; era l’unica costante in quella che era diventata una vita frenetica e programmata. La festa del Ringraziamento è stata una tregua necessaria, un momento per riconnettersi, un momento per riflettere su ciò che quell’anno aveva portato e su ciò che il futuro poteva riservare. Ma il 2014 è stato un anno diverso da tutti i precedenti. Al figlio maggiore di Joe e Jill Biden, Beau, era stato diagnosticato un tumore cerebrale maligno quindici mesi prima e la sua sopravvivenza era incerta. “Promettimelo, papà,” aveva detto Beau a suo padre. “Dammi la tua parola che, qualunque cosa accada, starai bene.” Joe Biden gli ha dato la sua parola. Promise Me, Dad racconta l’anno successivo, che sarebbe stato il più importante e impegnativo nella straordinaria vita e carriera di Joe Biden.

Promise me, Dad. Joe Biden. 2017 Pbs Flatiron Books, pp386


La vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, figlia di due attivisti per i diritti civili immigrati in America, è cresciuta a Oakland, California, in una realtà molto attenta alla giustizia sociale. Mentre si affermava come uno dei leader politici più influenti del nostro tempo, la sua storia personale restava la fonte di ispirazione per affrontare problemi complessi prendendosi cura di chi non aveva mai ricevuto attenzione. In “Le nostre verità”, Kamala Harris affronta le sfide del nostro tempo: attingendo agli insegnamenti e alle intuizioni conquistate durante la sua carriera, grazie all’esempio di coloro che l’hanno maggiormente ispirata, racconta la sua visione, un impegno quotidiano fondato sulla difesa di obiettivi e valori condivisi. La storia della vicepresidente americana Kamala Harris, un libro per guardare alle verità che ci uniscono, e imparare a difenderle.


I media si sono fatti beffe della visione di Trump e delle persone che lo hanno sostenuto; sono stati accecati dalla macchina democratica. Ma i loro occhi si sono aperti dopo che Trump ha ottenuto sessantadue milioni di voti e lo Studio Ovale nel 2016. Anche il presidente della Camera repubblicana Paul Ryan ha detto: “Donald Trump ha sentito una voce in questo paese che nessun altro ha sentito”. Lo fa ancora. Donald Trump mette “gli interessi dell’America al primo posto, e questo significa fare ciò che è giusto per la nostra economia, la nostra sicurezza nazionale e la nostra sicurezza pubblica”. Ha concluso gli affari più grandi della sua vita come Presidente degli Stati Uniti, ma ce ne sono altri da concludere. Dalla fine della crisi dei confini all’attuazione di politiche per eliminare le normative che limitano le piccole imprese, Donald Trump capisce che l’America “non ha bisogno di codardia, ha bisogno di coraggio”. È tempo di diventare duri

Donald Trump, Time to get out, Skyhorse pub. 2024


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