Ancora sul sogno americano. Imbolo Mbue

   Tempo di lettura: 8 minuti

Ho scelto Siamo noi i sognatori perché… non avevo intenzione di scriverne ma, come è poi successo, si è rivelata una lettura trascinante piena di speranze e anche di… sogni.
Il pregiudizio di scartare determinati libri passa per alcune determinanti del singolo lettore. Nel mio caso, dalla uniformità delle copertine della Garzanti. Spiace dirlo, ma sono tutte assolutamente uguali e questo, secondo me, oltre dimostrare una certa scarsità di ingegno degli editor, finiscono con il far credere che le storie sìano tutte uguali. Dal fortunato libro della Sanchez, Il profumo delle foglie di limone uscito anni fa, l’Editore non ha cambiato più la grafica a tal punto che si potrebbero cambiare le copertine ai libri senza che quasi alcun lettore possa accorgersi di leggere un libro al posto di un altro.  Più che la copertina, dunque, mi ha colpito la fascetta nientepopodimeno che di Jonathan Franzen che consiglia il libro come una lettura… stratosferica!
E se lo dice Franzen…

 

Il libro di Imbolo Mbue è un libro abbastanza silenzioso, nel senso di essere come velato da una tristezza di sottofondo, e guidato da una scrittura educata per il linguaggio e il ritmo lento. Ambientato subito dopo la crisi economica del 2007/2008, i molti lettori del romanzo osservano ancora una volta il sogno americano ma da due diverse prospettive: quella di Jende Jonga e della sua famiglia, immigrati camerunensi che cercano disperatamente di ottenere la carta verde e di rimanere in America, e quella della famiglia Edwards, ricchi borghesi newyorkesi che mostrano le crepe di questa idea di paradiso detenuta in special modo proprio dagli immigrati. Il capo famiglia Clark Edwards, un banchiere d’investimento, è un migrante anch’esso che arriva alla Lehman Brothers dall’hinterland americano; i suoi antenati furono decenni prima di lui i nuovi arrivati ​​con accenti e costumi abbastanza stravaganti per la grande città della costa orientale.

Chi mi legge sa che quello della fragilità del sogno americano è un tema che ho già percorso diverse volte, eppure, questa famiglia camerunese regala ai lettori una nuova vitalità. L’autrice stessa è un’immigrata camerunense che vive negli Stati Uniti, quindi è in grado di raccontare la famiglia Jonga con intuizione e onestà di prima mano il cui risultato è la somma di personaggi che prendono vita nelle pagine e si fanno ricordare.

Dicevo, c’è un sottofondo di tristezza per tutto il libro.

Jende è un sognatore a occhi aperti che desidera portare sua moglie e suo figlio in un luogo che considera la terra delle opportunità per definizione.  In un momento in cui l’animosità nei confronti degli immigrati è favorita da un attore (e imprenditore già fallito alcune volte) del calibro di Donald Trump, questo libro ha davvero un valore doppio, inteso sia come realtà sia finzione. La famiglia Jonga è distintamente occidentale-africana nei suoi ideali e pratiche culturali, eppure il loro desiderio di dare al proprio figlio la miglior vita possibile è una realtà straziante e universale. La letteratura è questo: il luogo, dove i destini immaginari e quelli reali s’incrociano.

Tutti i personaggi sono trattati con amore e molta cura dall’autrice. I membri di entrambe le famiglie degli Jonga e gli Edwards sono multistrato e ritratti anche con una certa sensualità. Le differenze culturali e le loro opinioni su come vendono il mondo sono esplorate – per esempio – nel ritratto del figlio maggiore degli Edwards: lui è anti-classe dirigente e desidera abbandonare la scuola di legge e trasferirsi in India, mentre Jende crede che l’opportunità di diventare avvocato sia una delle più cose migliori che potrebbe fare suo figlio.

È un libro dolorosamente realistico, come tutti i buoni libri sul “sogno americano” tendono a essere. A tratti, desideravo forse un po’ di più dalle pagine; una severa disamina contro quell’aspetto della società che, in tutto il mondo, oggi rifiuta l’altro – inteso come diverso. Per quanto, molta parte della storia inevitabilmente affronta i temi tornati assai di moda in questo periodo tipo: la cultura della differenza e della razza è rivelata attraverso le molte conversazioni dei personaggi. Questo è un deciso punto di forza del libro.

Il romanzo inizia con un colloquio di lavoro. Clark ha bisogno di un autista e Jende ha bisogno di un lavoro. In questo scambio in apertura, il potere, il tema centrale che detta le regole del romanzo, è messo a nudo. Per Clark, quell’incontro è solo uno degli impegni, un” blip” a dirla con le parole del romanzo, nella sua giornata impegnativa. Per Jende, nei suoi vestiti scelti con cura e con il suo curriculum assai curato, è la scommessa di una vita e unico modo possibile per sostenere la sua vita e quella della sua famiglia.

Il sistema americano d’immigrazione è una macchina potente ma che può essere giocata. Insieme al suo avvocato per l’immigrazione, Jende ha deciso di chiedere asilo e di inventare un racconto con la sua domanda, completo di un suocero che sta cercando di ucciderlo. Mentre Jende aspetta il risultato della sua domanda di asilo, inizia il suo lavoro di autista offrendo al suo capo alcuni racconti della sua terra d’origine che divertono Clark. Il proptagonista, non  si lamenta troppo; il fatto di fare un mestiere umile come quello che ritiene sia il mestiere di autista gli permette di pagare le tasse universitarie e di inviare denaro in Camerun. Dopotutto questo è anche uno scambio culturale che offre a entrambi l’opportunità di vedere le cose dal punto di vista dell’altro. Che è il cuore del libro.

Gli Edwards sono molto pieni di se stessi e per questo egoisti ma esistono sottili ponti di sincero affetto tra loro e gli Jonga. D’altra parte, la famiglia di Jende non sono semplici africani che evitano il materialismo e possono insegnare agli Edwards come vivere una vita più modesta, ma contenta. Di contro, gli Jende, imparano dagli Edwards il nocciolo del consumismo americano e comprendono ciò che il capitalismo ha da offrire.

Finisco. Chi sono i sognatori? Jende e sua moglie Neni, che credono che attraverso il duro lavoro e la fortuna possano farsi strada nel sogno americano? O noi, i lettori, che chiudiamo gli occhi davanti ai tantissimi Jende che a migliaia affollano gli angoli delle nostre strade e sono in mezzo a noi, cullandoci nell’inerzia con sogni di pace e sicurezza? Quanto è grande per chi è disposto a morire affogato nel Mediterraneo il sogno italiano? Avverto il sentimento di straniamento che molti di noi, di qua dalla riva fatale, stiamo compiendo da noi stessi.

Jonathan Franzen ha comunque esagerato. Ecco.

 

Per BookAvenue, Michele Genchi

 

 

Il Libro. Siamo noi i sognatori. pp 400, 2018

L’Autrice.  Imbolo Mbue è nata a Limbe, in Camerun. Ha studiato alla Rutgers e alla Columbia University e, da circa dieci anni, è cittadina americana. Vive a New York con il marito e i figli.

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