Confidando che il Governo Letta possa migliorare con decisione nella sua azione legislativa dei prossimi mesi, è da annotare purtroppo che il Decreto del Fare e il Decreto Valore Cultura ripropongono, come scrive un eccellente editoriale dell’Istituto Bruno Leoni, un vecchio refrain che la politica italiana non ha mai abbandonato: per la cultura occorre spendere e tassare. Non vi è altra strada per il patrimonio culturale che quello di essere una sostanziosa spesa pubblica, di cui i cittadini si devono far carico senza che lo abbiano liberamente deciso o approvato.
L’inasprimento fiscale è giudicato una misura di civiltà e di avanzamento civile se serve ad aiutare musei, teatri, pinacoteche, siti archeologici, film e cinematografi, in perenne crisi di deficit. Invece che rivedere con radicalità il sistema statalizzante della tutela pubblica del patrimonio e dei finanziamenti a fondo perduto che riguardano le istituzioni culturali, si pensa che sia più doveroso accentuare il peso fiscale.
Registra l’Istituto Bruo Leoni: “L’accisa sugli oli lubrificanti subirà un aumento del 5% (da 750 euro per mille chilogrammi a 787,81); quella sulla birra un aumento dell’1,7% nel 2014 e del 5,5% dal 2015; più o meno la stessa sorte toccherà anche ai prodotti alcolici intermedi (aperitivi e vini aromatizzati o liquorosi) e all’alcole etilico (grappe, liquori e così via). Va aggiunto che le accise concorrono a formare il valore dei prodotti e pertanto il calcolo dell’IVA comprende il valore del prodotto comprensivo di accisa”.
La conclusione a cui arriva l’Istituto Bruno Leoni, nel criticare il Decreto Legge, è la stessa a cui arrivano le poche e più lungimiranti firme sui giornali nazionali: “Il problema non risiede nel reperimento di nuovi fondi pubblici da riversare sul settore, ma nel renderlo capace di produrre autonomamente maggiori risorse”. Sono anni infatti che dal Corriere della Sera al Giornale al Sole24ore, a firma di Marco Romano, Salvatore Carrubba, Filippo Cavazzoni, Alberto Mingardi, Carlo Lottieri, Patrizia Asproni, oltre che del sottoscritto, dettiamo senza essere ascoltati le riforme urgenti sulla cultura affinché lo Stato arretri nella sua pervasività e vengano dati spazio e azione ad aziende, cooperative, associazioni, comitati, enti autonomi, libere aggregazioni di persone.
Finora il risultato della nostra azione è stato assai magro. Ma la direzione da seguire, che Letta lo voglia o no, è proprio questa: non quella della Francia di Hollande che nei mesi passati ha discusso di istituire una tassa sulla telefonia mobile per sostenere la cultura, ma quella dell’Inghilterra. Nella sua ultima spending review David Cameron infatti ha tagliato del 7% il bilancio complessivo della cultura, oltre a quello del 10% previsto nei trasferimenti agli enti locali, e parallelamente ha proposto una riforma per concedere più autonomia e indipendenza ai musei e alle istituzioni culturali, sospingendo questi enti a reperire da soli una parte consistente delle loro risorse. Pena la sopravvivenza. Il Governo impari da Cameron qual è la strada maestra per riconsegnare la cultura ai cittadini.