Non è ancora maggiorenne. Ma era già grande all’epoca. Ventiquattro ottobre 1995 esce “Mellon Collie and infinite Sadness”. Sono gli Smashing Pumpkins, ma si scoprirà che quel doppio disco è stato quasi suonato interamente (oltre che cantato) da Billy Corgan, il lider maximo, il creatore delle “zucche”. Se in letteratura “Il giovane Holden” di Salinger è considerato il romanzo di formazione (e l’articolo determinativo non è una pura formalità), nella musica questo è il disco di formazione per un’intera generazione, la mia, quella che ha bypassato da un po’ il trentesimo anno d’età.
C’è tutto in quel disco. Così voleva Billy e così è andata. C’è il sogno a occhi aperti di “Tonight tonight”, c’è la tensione di “Zero”, la rabbia che esplode nel vecchio pogo in una qualsiasi pista di un club di “Bullet with Butterfly Wings”. Dall’alba al tramonto (Dawn to dusk) e ancora dal crepuscolo alla notte stellata (twilight to starlight). Una giornata tipo o quasi di una postadolescenza inquieta. Ma la “tristezza infinita” del titolo non intacca le speranze. E’ vero che un disco non raddrizza i destini di un paese e il nostro sta invecchiando in malo, malissimo modo. E non serve nemmeno a fare la rivoluzione. Al massimo è utile come colonna sonora per caricarsi a vicenda. Ma in tutta questa storia c’è anche la storia personale di Billy Corgan. E non è un dettaglio da sottovalutare. Esce fuori da questo disco l’iniziativa personale di Corgan che si fa impresa (non in termini solo ed esclusivamente economici), la testardaggine nel fare qualcosa che piace, riuscendo alla fine nell’intento.
Certo Billy avrà pure sempre sognato di entrare dall’ingresso principale dello starsystem, ma lui era il primo a essere un personaggio inquieto. Voleva fare questo doppio disco così mastodontico con il rischio concreto, perché quei tempi non erano poi così tanto diversi da quelli attuali, che di questo monumentale opera ci si ricordasse solo di un paio di canzoni. I singoli. Ora sappiamo che non è così, perché “Tonight tonight”, bellissima, non sarebbe così bella se non ci fosse a precederla l’intro strumentale e quel disco non ci manderebbe a dormire così tranquilli, pur con i nostri tormenti personali e le nostre tensioni, se non ci fosse “Take me down”. Un magnifico intreccio musicale. Un’impresa da pazzi per quegli Smashing Pumpkins lì che arrivavano da “Siamese Dream” che li aveva aiutati a riservarsi un posto di tutto rispetto. Pretenziosi forse e pretenzioso Corgan lo era e lo è sicuramente. Ma in certe occasioni – e in questo particolare momento storico-politico-economico soprattutto – c’è bisogno di osare, di avere coraggio, di lanciare sfide agli altri e a se stessi, di spingersi oltre e vedere che c’è là fuori e, nel caso, di provare a cambiarlo. La lezione di “Mellon Collie and infinite Sadness” è nelle orecchie, impressa nei nostri album di foto (quando eravamo felici a un loro concerto, ma allo stesso tempo incazzati col mondo), ma è soprattutto in quel percorso oscuro a Pumpkinland, lo studio di registrazione. Molte cose le abbiamo sapute dopo. Le liti nella band, le tentazioni, la droga, la voglia di primeggiare, le rivalità, le depressioni, le malattie, i mal di pancia e gli eccessi di euforia. Ma questa è la vita: sangue che scorre, vene che si ingrossano. E c’è tutto questo, oltre a quelle bellissime canzoni, in questo disco. E se diciotto d’anni dopo i due cd, come è successo a me e a molti altri, sono solcati, usurati dai continui ascolti è perché in quel disco abbiamo cercato consolazione, quando volevamo consolarci, abbiamo cercato l’innesco della rabbia, quando volevamo incazzarci, abbiamo cercato le parole quando non ci venivano in qualsiasi istante, dal tema del liceo a una dichiarazione d’amore (senza arrossire o tirarsi indietro). E che cos’è questo allora se non un disco di formazione?
Matteo Massi per QN blog