Classe 1980, Alberto Schiavone ha pubblicato il suo primo romanzo nel 2009 con una piccola casa editrice. Ma ha subito fatto il salto di qualità e quest’anno è uscito con Rizzoli il suo secondo libro, “La libreria dell’armadillo”. In questa intervista, con ironia e sincerità, ci racconta il suo percorso come autore.
Hai esordito con “La mischia” edito da Cult che ha avuto buoni apprezzamenti. Poi il salto di qualità e l’uscita de “La libreria dell’armadillo” con Rizzoli. Fortuna? Perseverenza? Oltre all’innegabile qualità del romanzo, ovviamente. Ci racconti come hai fatto… a farcela?
Il mio primo romanzo è uscito nel 2009, accolto bene dalla critica e benino dal pubblico, per le ovvie difficoltà che un piccolo editore incontra nell’essere presente tra gli scaffali. Nel frattempo ho chiuso la mia libreria a Bologna e partendo da quell’esperienza ho scritto in poco tempo un romanzo. Poi l’ho messo in giro, e Rizzoli è stato il primo editore a fare una proposta seria. Quella sera, e non è stata la sola, mi sono ubriacato. Nel frattempo ho cambiato lavoro, pur rimanendo nell’ambito dei libri, e forse questo disincanto rispetto al mestiere dello scrittore mi ha permesso di arrivare all’uscita in libreria con ancora qualche amico di fianco, senza impazzire del tutto. Poi li ho persi tutti. È stato in effetti il vero e proprio salto tra i professionisti. E a distanza di quattro mesi dall’uscita posso dire che è stato un salto ben riuscito, con tutto ciò che può comportare l’affidarsi alle ampie cilindrate di un macchinone come RCS. Insomma fortuna, bravura, alcol. Come al solito.
Fumettista, traduttore, libraio. Che altro ancora? Oltre a scrivere hai sempre orbitato nella scia di libri, letteratura, narrazione. Un’attrazione fatale?
Per mantenermi gli studi ho iniziato a fare il cameriere, ma non saltuario, facevo proprio le quaranta ore canoniche, di sera. E di giorno studiavo storia dell’arte. Lì, lontano dalla retorica, ho imparato moltissimo sulle persone. Ed è un’esperienza, quella del cameriere, che ho ripetuto anni dopo, per esigenze economiche, a Rimini per un’intera stagione estiva di sei mesi, che è come avere fatto il militare, se non peggio. Insomma ho fatto poca vita universitaria, pur laureandomi in tempo e persino studiando. Per quanto riguarda i libri, nel 2001 ho lasciato un curriculum in una libreria di remainders, l’indomani mi hanno chiamato, e da lì è iniziato tutto.
Quando hai deciso che “da grande” avresti fatto lo scrittore?
Ho sempre letto e scritto bene. Da studente facevo i temi subito in bella copia e li consegnavo in breve tempo ai professori, uscendo di classe spocchioso. Sbagliavo, ovviamente. Ma a quell’età non si può essere seri. Ciò detto, con l’avvento della ragione, e soprattutto delle buone letture, ho continuato a chinare il capo sulla tastiera. Sbagliando spesso, certo. Buttando via tantissimo. Ma producendo anche buon materiale. Ho vinto qualche concorso di racconti, ho avuto la mia fase kafkiana fatta di racconti “strani”, ho avuto rifiuti, silenzi imbarazzati, delusioni, invidie. Soprattutto mie. Poi è uscito “La mischia” e nel frattempo ho provato a diventare un uomo e poi uno scrittore decente. Non so il successo dell’operazione, ma “La libreria dell’armadillo” credo sia un passo ulteriore in quella direzione.
Stai lavorando a un nuovo progetto?
Uno scrittore non smette mai di lavorare, giusto? E un poco è così, in effetti. Lontano però dallo stereotipo errato dello scrittore romantico, tanto tanto sensibile, devo dire che ho sempre in saccoccia più di un progetto. Al momento, visto che non c’è la fila fuori dalla porta per accaparrarsi tutte le mie opere e farne un meridiano, sto lavorando a uno in particolare, un romanzo. I toni saranno più simili a quelli de “La mischia”, perché il reale è grottesco, non consolatorio. Però nel frattempo ho fatto mie alcune corde della commedia, spero della commedia fatta bene, e questo vorrei riversare nel nuovo romanzo. Stiamo a vedere cosa succede. Se e quando e come uscirà in libreria.
Se un esordiente ti chiedesse un consiglio prezioso, uno solo, che gli diresti?
Solo uno? Spendi una moneta e fatti un giro intero su una linea qualsiasi di autobus. Lì ci sono tutte le storie di cui hai bisogno. Se in quel giro non ti sono venuti in mente almeno due o tre spunti interessanti, beh, torna a dedicarti senza indugio al lavoro con cui paghi l’affitto, al tuo partner, alla lettura.