Terézia Mora è ungherese di sangue tedesco e croato. Scrittrice nota alla critica e al pubblico per la sua scrittura cristallina, vive a Berlino dal 1990. Ha vinto diversi premi importanti col suo primo libro, la raccolta di racconti “Seltsame Materie”, fra cui l’autorevole Ingeborg-Bachmann-Preis 1999.
E’ una delle traduttrici più apprezzate dall’ungherese in tedesco. Tra i vari autori, ha tradotto in tedesco il romanzo Harmonia Caelestis di Peter Esterházy (Berlin Verlag 2001).
Terézia Mora ha amato molto l’Ungheria ma, con dolore, ha riconosciuto che lì forse non riuscirebbe più a vivere. E’ bilingue, ma scrive in tedesco, la lingua della nonna. Ripudia però il legame con la nazione tedesca, pur rifiutando e disprezzando la definizione di “europea dell’Est”.
“Tutti i giorni” è il suo romanzo d’esordio e racconta la bizzarra storia di Abel Nema, un giovane profugo di padre ungherese e di madre tedesca che è soprattutto un genio linguistico.
E’ stato il libro più elogiato della stagione 2005 e, forte di questo sostegno straordinariamente concorde di critica e pubblico, è addirittura entrato nei best-seller.
Terézia Mora si ostina a chiedersi fino a dove può arrivare il nostro modo di comunicare in situazioni di estrema gravità mettendo alla berlina certi atteggiamenti, spesso fin troppo ovvii, legati alla “lingua materna”.
Il titolo è un omaggio alla scrittrice Ingeborg Bachmann. «Avevo già finito di scriverlo e ancora non avevo un titolo. Finché, per caso, ho aperto un’antologia di sue poesie e ho letto ‘Alle Tage’ (‘Tutti i giorni’, appunto). Il mio libro parla di questo, mi sono detta, lo chiamerò così».
La guerra non viene più dichiarata,
ma proseguita. L’inaudito
è divenuto quotidiano. L’eroe
resta lontano dai combattimenti. Il debole
è trasferito nelle zone del fuoco.
La divisa di oggi è la pazienza,
medaglia la misera stella
della speranza, appuntata sul cuore.
Viene conferita
quando non accade più nulla,
quando il fuoco tambureggiante ammutolisce,
quando il nemico è divenuto invisibile
e l’ombra d’eterno riarmo
ricopre il cielo.
Viene conferita
per la diserzione dalle bandiere,
per il valore di fronte all’amico,
per il tradimento di segreti obbrobriosi
e l’innosservanza
di tutti gli ordini.
[da Poesie, Guanda, 1978]
Il romanzo è la storia di un naufragio esistenziale in cui si avverte con sgomento la fugacità della vita.
Grazie alla possibilità di esercitarsi in un laboratorio linguistico, Abel arriva a parlare correttamente ben dieci lingue, ma non comunica con nessuno. Tutto quello che dice è senza luogo, non si capisce da dove venga. La sua peculiarità è quindi il suo incomprensibile, risoluto fare silenzio. Pur essendo il protagonista del romanzo, il suo modo di essere si mantiene sempre enigmatico, inafferrabile; sono le storie e le lingue degli altri a raccontarsi per mezzo di lui, spesso in una caotica espressione collettiva.
Eppure c’è un punto di vista in cui le diverse voci che si raccontano sembrano trovare un accordo: malgrado Abel sia desiderato da uomini e donne per la sua personalità magnetica, non riesce mai a uscire da se stesso, dalla sua “inumanità”. L’espressione “unmenschlich”, “non umano”, ritorna continuamente nelle pagine di “Tutti i giorni” a evidenziare l’apatia di Abel nei rapporti umani e la sua straordinaria abilità di transitare incolume attraverso qualunque situazione. Visto che non si riesce a capire la persona, non rimane altro che prendere di mira il nome.
Il nome del protagonista è significativo. Abel come Abelardo, il primo grande intellettuale del Medioevo, colui che nell’immaginario dell’intellettuale incarna ragione e passione. Nema come un nessuno frutto di una ghettizzazione. Ma anche “barbaro”, come dirà un personaggio del romanzo.
Abel, in ebraico “alito, fiato, nullità”, Nema in croato “non c’è”.
La stessa autrice fornisce spunti diversi definendolo “Nema, il muto, imparentato con lo slavo Nemec…”. Che, letto al contrario, diventa “amen”.
NeMa è anche il nome di uno strano macchinario. E’ l’acronimo della NEue MAschine, la macchina svizzera per cifratura (crittografia) derivata dalla tedesca ENIGMA usata nella seconda guerra mondiale. Era composta da ruote con i caratteri incisi sul bordo, e con contatti elettrici in corrispondenza delle lettere in entrambi i lati. Il testo in chiaro, digitato su una tastiera, veniva riprodotto utilizzando i caratteri della prima ruota, la quale a sua volta costruiva un nuovo alfabeto utilizzando i caratteri della seconda, e poi della terza, e così via.
Il romanzo è un grande racconto sulla solitudine e sulla vita. Di notevole interesse per chi, come gran parte dei giovani del nostro continente, si sente a casa e straniero allo stesso tempo, e tenta in modo frenetico e dolorosamente, di essere cittadino d’Europa.
Fin dal titolo, questo romanzo fa intravedere sullo sfondo l’alone della guerra. Un mondo messo a rovescio in cui “l’inaudito è divenuto quotidiano” e dove “ciò che appariva come caos era in realtà una conseguenza di giorni sempre uguali”, come si esprime la scrittrice. E’ forse il caos, infatti, il protagonista dominante di “Tutti i giorni” o meglio è lo stato attuale del mondo e il suo profondo smarrimento.
Terézia Mora, Tutti i giorni, Mondadori, Milano 2009.