” Per essere lungimiranti bisognerebbe immaginare e favorire un’emulsione di praticità e sapienza capaci di sollevarci dalla decadenza e di condurci all’oraziana aurea mediocritas . La Costituzione pone cultura, ricercae patrimonio paesaggistico, storico e artistico fra le priorità della vita patria e pertanto al di sopra di ogni altro fare. Eppure i ministeri che curano ambiente, patrimonio culturale e turismo sono sempre stati in coda agli altri e fra i più colpiti dai tagli, mentre permangono i privilegi della casta, la grandeur di 131 caccia bombardieri ultracari e i privilegi tributari della Chiesa. Quale trasversale contraddizione! “
L’ inserimento della cultura nella strategia del Paese


Ho preso in prestito una frase di Concita De Gregorio, dal suo libro Così è la vita. Imparare a dirsi addio (Einaudi, 2011), un must da non perdere per chi volesse scrollarsi di dosso le visioni abbacinanti delle scorse legislature. Che c’entrano con un libro, direte voi. Ciò che spesso si ignora è che tanti comportamenti “politici”, abilmente amplificati dalla cassa dei media (spesso manovrati direttamente dall’alto, come ci ha tristemente dimostrato l’ex premier) inducono a emulazioni di massa o, più precisamente, a desiderio di emulazione. Se i genitori hanno diretta responsabilità negli insegnamenti dei figli, i padri di una nazione (i politici di turno) impartiscono anche loro (sempre volutamente) un’idea di comportamento. E così, negli ultimi vent’anni circa, chiamiamolo pure ventennio berlusconiano, pace all’anima sua, abbiamo assistito ad una sorta di copertina patinata del Governo, tra bellezze catapultate in ruoli tanto delicati quanto lontani dalle loro precedenti condotte di vita e fauci maschili spalancate stile cavernicoli in preda a raptus volitivi. “L’estetica detta l’agenda politica”, scrive De Gregorio, riassumendo in poche parole l’ordine avvilente creato da abili strategie televisive, giornalismo di basso livello, e proclami elettorali speziati da volgarità in brutta mostra.
L’ultima fatica di Sabino Cassese inizia con una frase di Goethe e termina con una serie di condivisibili interrogativi. Una cosa è certa: la debolezza dell’Italia, la fragilità di uno Stato dove il vuoto che si è creato si è riempito di molteplici tarli che ne hanno minato nel tempo le istituzioni di ogni livello privandole di quel senso tipico delle Nazioni forti e coese.