“2.666“, capolavoro postumo dello scrittore cileno Roberto Bolaño, si presenta come una compilation di pezzi di varia lunghezza. E’ però un’opera “sinfonica” in cui Bolaño non racconta una storia coerente, ma è più interessato alla ricerca e allo sviluppo di temi.
Un’opera “immensa” di stupefacente ambizione espressamente composta di cinque libri distinti tra loro che differiscono, a volte in modo molto sottile, non solo nel tono e nel timbro, ma anche nel genere (Bolaño gioca con i generi), saltando dalla satira accademica al thriller psicologico.


Avevo promesso a Marco Crestani una risposta. Eccola. 
Perché “la carta e il territorio”? Perché la carta è più interessante (e più ricca di vita) del territorio è la lampante rivelazione di Martin Jed, l’artista protagonista del nuovo romanzo di Michel Houellebecq, Premio Goncourt 2010. 
La scrittura di Barthelme (“scrivi di ciò che hai paura” diceva spesso quando era docente di scrittura creativa presso l’Università del Texas) è stata spesso paragonata a quella di Barth, Pynchon, Vonnegut…
Devo delle scuse manco da tempo, ma, per fortuna (iniziamo a divertirci davvero…) e purtroppo (familiari e amici torneranno a vedermi dopo le feste…) in libreria è a tutti gli effetti Natale. Trascorro poche ore lontana dalle pile di libri che affollano i tavoli, e quelle poche le dedico al sonno, lo ammetto.
“Ruggine americana” di Philipp Meyer è un laconico, spesso agghiacciante ritratto della vita americana. Un romanzo sul sogno americano perduto e sulla disperazione per la sua perdita, una storia piena di speranza dolente in cui si avverte forte un profondo rispetto per la lotta e il coraggio così necessari per andare avanti.
Libro nuovo di Roth che esce, recensione del sottoscritto che trovi.
Come Paul Auster si svegliò una mattina da sogni inquieti e si trovò trasformato in un cane… sembrerebbe (ma non lo è) l’incipit giusto per un racconto come “Timbuctú“, una storia apparentemente semplice narrata dal punto di vista di un cane.