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Danza delle ombre felici

copertina di alice munro, danza delle ombre felicei

Dopo cena mio padre fa: – Scendiamo a vedere se c’è ancora il lago? – Lasciamo mia madre a cucire sotto la lampada in sala da pranzo; mi fa dei vestiti per l’inizio della scuola. A questo scopo ha disfatto un vecchio completo e un vestito scozzese che erano suoi, e ora le tocca ingegnarsi per tagliare e ricucire oltre a farmi stare in piedi a girare su me stessa per interminabili prove mentre io, ingrata, sudo e mi lamento perché la lana prude e mi viene caldo. Lasciamo mio fratello a letto nel piccolo portico chiuso al fondo della veranda, e certe volte lui si inginocchia sul lettino, preme la faccia contro la zanzariera e frigna: «Portatemi il gelato!», ma io gli rispondo: «Tanto dormirai già», e non giro neanche la testa.

I quindici racconti di Danza delle ombre felici sono la prima raccolta di racconti di Alice Munro uscita nel 1968.
La scrittura della Munro sorprende ogni volta per il modo in cui riesce a imporsi con disinvoltura. Il suo tocco delicato porta con sé una sorta di libertà gioiosa, garbata, ma anche qualcosa che mai avremmo ritenuto possibile.

Le sorelle dell’oceano

Mentre fa la verticale reggendosi sulle mani, Katie sogna il mare con le sue acque scure e misteriose. Da qualche parte, nel suo appartamento, suona il telefono. La sveglia sul comodino segna le 2.14 e Katie pensa immediatamente a sua sorella Mia che è dall’altra parte del mondo e sbaglia sempre il calcolo dei fusi orari.

C’è qualcosa di minaccioso e angosciante in quello strano suono nella notte. Katie è preoccupata e mentre sta per raggiungere l’apparecchio pensa alla brutta litigata con Mia del giorno prima. Parole taglienti, dure, velenose. Pensa che ora finalmente potrebbe chiarirsi e forse anche scusarsi con Mia… Fa per rispondere, ma il telefono è muto, non suona più. Forse si è sognata tutto, pensa.

Soggiorno in una casa di campagna

Stupendo leggere dell’elzeviro che Walter Benjamin pubblica nel 1926 per il centenario della morte di Johann Peter Hebel, straordinario autore di calendari e almanacchi popolari.

Incantevole lasciarsi accompagnare nell’isola di San Pietro in cui Rousseau fu felice come in nessun altro posto al mondo.

Sorprendente incontrare Eduard Mörike allo Stift di Tubinga dov’erano giovani studenti e compagni di stanza Hegel, Schelling e Hölderlin.

Curioso capire, attraverso Gottfried Keller, come la parola “repubblica” è potuta diventare nel corso dei tanti Risorgimenti una pietra spacciata al popolo per pane.

Sei problemi per don Isidro Parodi

Pacato ed energico al tempo stesso, don Isidro Parodi prepara un mate in un piccolo bricco celeste nella cella 273 del Penitenziario Nazionale. Lo offre al suo amico Molinari che non vede l’ora di raccontargli dell’avventura che gli ha sconvolto la vita, ma sa che è inutile mettere fretta a don Isidro.
Molinari comincia allora da altro parlandogli delle corse dei cavalli, che non sono più quelle di una volta… Don Isidro non lo bada e ricomincia a parlar male degli italiani, che si sono infilati dappertutto, senza rispetto nemmeno per il Penitenziario Nazionale.

E poi…

E poi di Natsume Soseki si apre con un’immagine di estremo isolamento: Daisuke, il protagonista, si sveglia e, voltandosi, vede che sul tatami, di fianco al cuscino, c’è una camelia a petali doppi. E’ convinto di averla sentita cadere nel sonno: un rumore sproporzionato, come il tocco pesante di una palla di gomma lanciata dall’altezza del soffitto. Forse il silenzio della notte fonda trasforma e accresce i suoni, ma per scrupolo, per assicurarsi che il suo sangue pulsi regolarmente, Daisuke si mette la mano destra sul cuore e poi si riaddormenta.

Il fascino delle cose non dette

Nel 1927, a cinquantadue anni, Maurice Ravel, una vita vissuta esclusivamente per la creazione artistica, è all’apice della sua carriera di musicista e compositore. Con Stravinskij è il più ammirato al mondo e la sua foto si trova spesso sui giornali.
Ha un viso affilato e occhi scuri, mobili, irrequieti, sopracciglia folte, capelli lisci all’indietro che lasciano scoperta la fronte alta, labbra sottili, orecchie a sventola prive di lobi, colorito pallido.

La luna color zafferano

Siamo a Oxford, nel 1853, tra i quartieri signorili e raffinati dell’alta borghesia inglese. A Maya Greenwood, figlia di un professore di archeologia, quel genere di vita va stretto: è uno spirito ribelle e sogna una vita diversa, ma è cosciente che per una donna del suo tempo è difficile.
Per tutta l’infanzia e negli anni dell’adolescenza, Maya riceve delle bellissime lettere da Richard Burton, un ufficiale amico di suo padre che si è guadagnato l’ammirazione di tutti sul campo per il suo coraggio e per il grande spirito d’esplorazione.

Il giorno della locusta

La casa in cui vive Tod Hackett è in un posto, chiamato San Bernardino Arms, tirato sù dal niente senza nessun criterio estetico. La sua camera è al terzo piano di un edificio alto tre piani col retro e i lati di stucco grezzo non verniciato. La facciata è color senape e le finestre sono bifore incorniciate da colonne moresche color rosa che sostengono architravi che sembrano delle rape.

Il fischiatore

Il fischiatore arriva in un villaggio sperduto quando è ottobre e arriva una pioggia interminabile e muta. Ha i capelli bagnati, gli occhi socchiusi e gli abiti fradici. E’ una pioggia, questa di ottobre, che bagna come qualsiasi altra e ha il dono naturale di non far rumore quando tocca terra. Il fischiatore pensa di essere avvolto in una nebbia spessa, densa, concentrata. Apre la bocca per assaggiare l’acqua e poi si siede davanti alla porta della chiesa perché una pioggia come questa non l’ha mai vista.