Ai viaggi on the road per il continente americano siamo forse già tutti letterariamente e cinematograficamente abituati. Tuttavia ci sono ancora percorsi sconosciuti, territori inesplorati e viaggi del tutto inediti. Strade Blue (nell’originale Blue Highways. A Journey into America) di William Least Heat-Moon è uno di questi.
Pubblicato ormai nel lontano 1982 è un libro che però si colloca in un’altra temporalità, una sorta di storicità parallela, il che lo rende un libro sempre attuale.
La storia di quell’America in cui l’autore viaggia e di cui parla infatti è quella di un’umanità senza tempo o comunque in un rapporto molto particolare con il tempo storico.
Come si può leggere all’inizio del testo: “Adesso i colori sono cambiati, ma subito prima dell’alba e subito dopo il tramonto – brevi istanti né giorno né notte – le vecchie strade restituiscono al cielo un poco del suo colore, assumendo a loro volta un’arcana tonalità blu. E’ l’ora in cui le strade blu hanno un fascino intenso, e sono aperte, invitanti, enigmatiche: uno spazio dove l’uomo può perdersi”.
Blu sono tuttavia anche le strade secondarie, le cosiddette provinciali secondo la loro connotazione sulle mappe stradali americane. Least Heat-Moon, decide di condurci attraverso questi percorsi “minori”, attraverso vie secondarie per guidarci in un viaggio in un’America settentrionale altrettanto minore, ossia quegli Stati Uniti che generalmente non conosciamo, ben lontani da fast food, luci al neon, modernità e stereotipi mainstream per lo più cinematografici e commerciali.
Scopriamo cosi un’America altra, remota, insolita e soprattutto diversa.
Un paese fatto innanzitutto di natura, storia e memoria (cose per lo più inaspettate in un continente relativamente giovane), tradizioni e di un’umanità degna dei personaggi di un romanzo russo ottocentesco.
Anche l’itinerario è piuttosto inedito, non trattandosi del solito coast-to-coast, bensi’ di un viaggio circolare in senso orario, che parte della base – la casa del protagonista, il Missouri – per ritornare al punto di partenza, dopo aver compiuto la circonferenza completa, dell’intera nazione.
Si tratta però di un viaggio non solo geografico, ma anche interiore. Esso nasce da un fallimento a livello professionale (licenziamento dal ruolo di professore di letteratura inglese) e umano (divorzio e scoperta di un nuovo compagno per la ex-moglie), nonché esistenziale.
E quale miglior modo da sempre l’uomo ha trovato per ritrovarsi, se non quello di perdersi in un cammino? Non c’è bisogno di richiamare le avventure giovanili e le irrequietezze storiche e post-adolescenziali della beat generation. In questo caso il cammino ha qualcosa dell’avventura solitaria di pionieri ed esploratori, compiuto da una sorta di profeta del quotidiano e delle sue meraviglie nascoste.
Inoltre la strada per il nostro autore e protagonista, ha già una meta che è il punto di partenza. Non ci si tratta quindi di ingenui idealismi, fughe da se stessi o dalla società, ma semplicemente del bisogno di compiere un percorso, interno ed esterno, e ritornare di nuovo a se stessi.
Un perfetto esempio letterario – e non solo – di deteritorializzazione come direbbe il filosofo Gilles Deleuze, fatto di linee aperte, rizomatiche e nomadismi esistenziali e molteplicità umane.
Un libro sulle pluralità, quelle di una nazione in primis, ma anche quelle di un’umanità, della terra, di popolazioni, di culture che l’hanno abitata e che la abitano tuttora e che sono inevitabilmente in via di estinzione.
Least Heat-Moon è alla ricerca di queste tracce nascoste, come forse naturale per la sua discendenza indiana, di questi sentieri abbandonati ricchi però di significati, che spesso si palesano sotto forme di storie e incontri, con personaggi davvero particolari, per il fatto di essere semplicemente se stessi.
Lo stesso autore quindi, di origini inglesi, irlandesi e Osage – tribù indoamericana – che è la voce narrante e protagonista in prima persona, sembra esemplificare la storia e il destino della terra che racconta e che tutti i suoi antenati hanno costituito, in misura diversa e talvolta conflittuale.
Tuttavia egli sa portare in sé sia il conflitto, soprattutto fra origini indiane ed europee, vivendolo come una ricchezza e fonte di un’incredibile diversità.
La stessa di un paese, l’America, che dovremmo cominciare a pensare al plurale; non solo a sfolgoranti stelle e strisce, ma anche tratteggiato in controluce, da leggeri e lunghe linee blu.