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E poi di Natsume Soseki si apre con un’immagine di estremo isolamento: Daisuke, il protagonista, si sveglia e, voltandosi, vede che sul tatami, di fianco al cuscino, c’è una camelia a petali doppi. E’ convinto di averla sentita cadere nel sonno: un rumore sproporzionato, come il tocco pesante di una palla di gomma lanciata dall’altezza del soffitto. Forse il silenzio della notte fonda trasforma e accresce i suoni, ma per scrupolo, per assicurarsi che il suo sangue pulsi regolarmente, Daisuke si mette la mano destra sul cuore e poi si riaddormenta.

E’ un po’ intontito e per un attimo osserva tutti i colori di quel fiore. Poi, all’improvviso, si posa di nuovo la mano sul petto e cerca ancora il battito del suo cuore. Controllare il battito cardiaco prima di alzarsi è un’abitudine che ha preso da poco. Immagina il flusso lento del sangue che scorre sotto quel battito, sotto la sua mano. C’è la vita, pensa. La sua vita che sente fremere, sussultare, martellare. Ma quel suono simile al ticchettio delle lancette di un orologio è anche un segnale di allarme che gli fa ricordare la morte. Se solo potesse vivere senza percepire quel rumore… Quanti pensieri in meno! Allora sì potrebbe godere pienamente il piacere della vita…
Di tutti gli scrittori giapponesi, Soseki è in un certo modo il padre della letteratura giapponese contemporanea, ma è anche tra i più enigmatici e indecifrabili. Le sue opere non possono essere definite belle come quelle di Kawabata, ma colpiscono per quella loro ammaliante precisione nel descrivere certi complicati meccanismi dell’emotività.
La scrittura di Soseki è acuta, coincisa, sagace. E poi è forse la sua più grande opera e, come tutte le sue opere, si muove molto lentamente, con calma, senza fretta. Non c’è alcuna azione reale, eppure, quando si finisce di leggere, si sente che si è verificato una sorta di sconvolgimento. Forse per questo E poi è un libro da leggere in tempi di crisi personale, quando si è spinti all’autoanalisi.

Natsume Sōseki
E poi
(traduzione di Antonietta Pastore)

Neri Pozza

2012

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Marco Crestani

"In una poesia o in un racconto si possono descrivere cose e oggetti comuni usando un linguaggio comune ma preciso, e dotare questi oggetti - una sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino - di un potere immenso, addirittura sbalorditivo. Si può scrivere una riga di dialogo apparentemente innocuo e far sì che provochi al lettore un brivido lungo la schiena… Questo è il tipo di scrittura che mi interessa più di ogni altra. Non sopporto cose scritte in maniera sciatta e confusa…"(Raymond Carver)
http://libereditor.wordpress.com/

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1 commento

  1. La traduzione di Antonietta Pastore, curatrice delle opere, tra l’altri, di Murakami, è una garanzia. Ottima recensione a favore di un grande Autore.

    Michele

I commenti sono chiusi.