Proponiamo, in particolar modo a chi ha seguito lo scambio di articoli tra Paola Manduca e Layla El Sayed sui libri della James, la risposta alla replica di quest’ultima. Non c’è dubbio alcuno che in redazione non manchi il dibattito e, manco a dirlo, la passione. I precedenti articoli sono disponibili nella stessa rubrica o cliccando sui nomi delle nostre amiche. ndr.
Proverò a spiegarmi, ma per l’ultima volta. Come suggerisce Arthur Bloch a proposito delle discussioni inutili, replicare due volte è da pignoli, tre è da fessi.
Il punto non è se valga la pena di riesumare per Cinquanta sfumature la vecchia querelle se la cultura bassa abbia pari dignità rispetto alla alta (e a sopportare gli annessi sproloqui in termini di democrazia). Scomodare MacDonald – il sociologo, non il macellaio – per Mr Grey è come riportare in vita Billy Wilder per poi chiedergli consiglio su un’inquadratura di Natale a Miami; è come avere la possibilità di resuscitare Shakespeare, leggergli un passaggio di Tre metri sopra il cielo e sentire da lui se scorre; è come chiedere un’intervista a Umberto Eco e domandargli a bassa voce: “senti Umbe’, ma poi com’è andata a finire tra apocalittici e integrati? Chi ha vinto alla fine?”
La mia tesi è che con questo libro noi siamo ben oltre la soglia minima di sussistenza letteraria, siamo in quell’abisso che le parole crociate ci suggeriscono di definire “imo”. Raramente avevamo assistito a un mix così mortale tra l’assoluta scemenza della trama e l’uso cerebroleso della scrittura. Cinquanta sfumature è scritto da una tredicenne scema a cui hanno dato ripetute padellate in testa (o da una qualsiasi delle finaliste a Miss Italia). Sostiene Wilcock ne Il reato di scrivere: “come nessuno mangia per farsi venire la nausea, sembra naturale che nessuno adoperi il linguaggio per dire ciò che non ha senso. L’uso corretto del linguaggio non vuol dire ubbidienza soltanto alle leggi complesse della grammatica, ma ubbidienza alla logica. Il re di Avellino è calvo è una proposizione grammaticalmente corretta ma, non essendoci alcun re di Avellino, essa è già da sola fonte di confusione”. Ecco, ho preso un esempio facile facile per farti capire.
Non siamo più negli anni ’80, quando il pop ammantava spensieratamente di cultura qualsiasi cosa toccasse: ora siamo cresciuti, abbiamo imparato a nostre spese che la merda genera merda, e che lo share è un concetto estremamente pericoloso. Ce lo ha insegnato la storia, facendoci vedere gli orrori commessi dalle masse e ce lo mostra più banalmente la tv, per decenni sodomizzata ogni giorno col decoder dell’Auditel.
E’ vero che nella modernità ogni periodo di crisi ha tentato di reagire con la leggerezza, che si trattasse di film ottimisti, musica ballabile o creme di bellezza, ma qui – tra cinquanta sfumature e pulcino pio – siamo in presenza dell’evasione più pacchiana che si potesse mai immaginare, il che dovrebbe spaventarci sull’entità dei danni che questi anni ci stanno facendo sul piano culturale. Ma ti voglio dire una cosa, se non te accorgi, buon per te: soffri di meno e sorridi di più, circondata dalla stima di 30 milioni di persone affette dalla tua stessa paresi. Finché c’è massa, c’è speranza.
Mi viene persino un dubbio: dopo il recente caso di Ellory che sotto mentite spoglie scriveva recensioni positive dei suoi libri, non è che l’azienda, verso la quale dimostri grande devozione, ti passa qualcosina per arrotondare il tuo stipendio?
Infine, un consiglio. La provocazione scritta deve saper cogliere il vantaggio della differita e mostrarsi intelligente nell’evitare la trappola della passionalità, altrimenti commette ingenuamente lo stesso errore di eccesso che affligge le potenzialità di una provocazione vis a vis. E il risultato finale è quello che produci tu, una scadente e scomposta caciara. La posizione che vorresti assumere si perde in mezzo agli attacchi personali rivolti a me e alle descrizioni della tua interessantissima vita raccontata in scala 1 : 1, così che, leggendoti, non mi viene in mente Guia Soncini ma piuttosto Giuliano Ferrara quando va in televisione a chiamare “fottuti” i magistrati.
Tra me e te la snob sei tu: io mi affido al correttore automatico, tu no. Ma nonostante gli errori contenuti nel tuo testo, ti perdono: in fondo potevi corollare ogni offesa che mi lanciavi con un emoticon e questo sarebbe stato francamente troppo pure per donna paziente come me. Ma tu hai resistito, non l’hai fatto, e perciò ti meriti una bella citazione, fanne un buon uso: “Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l’imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile” (Woody Allen).
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