Perchè Louise Glück dovrebbe rifiutare il premio Nobel per la letteratura

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Non so cosa abbia detto la poetessa americana  Louise Glück quando l’hanno chiamata dalla Svezia per informarla di aver vinto il Premio Nobel per la letteratura di quest’anno. So, invece, cosa avrebbe potuto rispondere alla “Bartleby”: “Avrei preferenza di no. Grazie”.

Ottobre è la stagione dei premi Nobel, il periodo, cioè, dove una manciata di persone viene catapultata nella fama e fortuna (dicasi: $1ML) grazie all’eredità filantropica dell’inventore della dinamite. Quattro dei sei premi intitolati ad Alfred Nobel sono generalmente indiscutibili – fisica, chimica, medicina ed economia – ma i premi per la pace e la letteratura suscitano passioni. Anche tra i redattori di BookAvenue, naturalmente. Consentitemi dunque una riflessione.

Ci sono buone ragioni per dubitare per l’assegnazione di alcuni premi per la pace, che è stato invece assegnato a grandi persone e organizzazioni come quest’anno al WFP.

Nel 1973 è andato a Henry Kissinger famoso per i suoi metodi di azione politica a dir poco spregiudicati, che non escludevano pesanti interferenze, anche militari, su governi e politici stranieri, per salvaguardare a tutti i costi il potere americano. Come dire: non proprio un portabandiera del pacifismo. Si guadagnò il premio per la mediazione con Siria, Egitto e Israele per la fine della guerra del Kippur.
Per non parlare di quello del 1984 ad Arafat, Peres e Rabin per l’opera di diplomazia compiuta al fine di rappacificare  Israele e le popolazioni dei territori occupati dai palestinesi. Un premio inutile a vedere come è finita.

Per chiudere quello a Barak Obama che, nonostante sia stato il presidente più amato dal mondo dopo Kennedy, l’ha ricevuto troppo presto rispetto alla sua effettiva capacità di mettere fine ai conflitti. Il mediorientale o quello afgano, tanto per dirne due. In quelle aree si continua a morire di guerra con milioni di persone che fuggono dalle loro terre.

Ma è il premio per la letteratura che nella sua forma attuale è sopravvissuto alla sua utilità.  Dopo che l’Accademia ha ignorato per anni il più grande scrittore americano del 900, parlo di Philip Roth e dove Don DeLillo, Cormac McCarthy, Haruki Murakami e David Grossman rischiano di fare la stessa fine, l’anno scorso il Premio Nobel per la letteratura è stato assegnato a Peter Handke, lo scrittore austriaco che ha scritto una serie di impressionanti opere letterarie. Non senza molte controversie come vedremo.

Ho avuto il piacere di conoscerlo di persona. Ho spesso raccontato di quando, molti anni fa, con lui e un comune amico ho comprato la verdura e i pomodori in un mercato di una piccola città del Friuli. Festeggiavamo le vendite del “Canto alla durata”.  Trovavo allora e trovo discutibile ancora oggi la sua posizione filoserba in occasione della crisi dei balcani. Anzi. Direi che negli 90 è proprio caduto nella palude della negazione del genocidio. Negli ultimi decenni, Handke ha scritto almeno una mezza dozzina di libri (1) tra saggi e diari che minimizzavano o fuorviavano dal genocidio commesso dai serbi contro i musulmani durante la guerra in Bosnia. Spiace dirlo: Peter Handke ha anche partecipato al funerale e ha pronunciato un elogio all’ex leader della Serbia, Slobodan Milosevic, morto mentre era sotto processo per crimini di guerra. Per uno che, come me, nel ’92 con altri cinquecento e con alla testa Don Tonino Bello, parteciparono a una difficile marcia della pace a Sarajevo, è stato davvero troppo.

Un premio di questa portata ha conseguenze nel mondo reale. Gli ultranazionalisti serbi che Handke ha difeso (2) sono eroi per i violenti estremisti bianchi in tutta Europa e negli Stati Uniti.
Faccio una forzatura. Assegnando il premio Nobel a Handke, l’Accademia svedese, che seleziona il vincitore della letteratura, ha sostanzialmente ratificato una teoria del complotto incorporata nel suo lavoro: che i musulmani rappresentavano una minaccia per i cristiani con cui convivevano e convivono. I libri di Handke che negavano il genocidio, invece di essere contestati, sono stati investiti dell’autorità del Premio Nobel.

L’Accademia svedese è una strana organizzazione. Ha solo diciotto membri nominati a vita e che selezionano nuovi membri a scrutinio segreto – e il re del paese deve solo approvarli, né risulta esserci una sorta di moral suasion a riguardo. La decisione di consegnare il premio 2019 a Handke non è l’unica prova dell’incapacità dell’organizzazione a gestire il premio per la letteratura. L’Accademia ha dovuto posticipare il premio 2018, a causa delle rivelazioni sui decenni di silenzio sulle molestie sessuali e stupri da parte del marito di uno dei suoi membri. Quando lo scandalo è venuto alla luce, grazie al lavoro investigativo della giornalista Matilda Gustavsson del giornale Dagens Nyheter, la sorprendente risposta dell’Accademia dominata dagli uomini fu l’espulsione di una donna, Sara Danius, la sola che spingeva per radicali riforme nelle sue fila. Tutto qui. Il premio 2018 fu poi assegnato l’anno dopo alla scrittrice polacca Olga Tokarczuk, con quello a Handke.

Paradossalmente, dovremmo essere grati per questi scandali perché ricordano la necessità e offrono l’opportunità di attuare una riforma radicale del premio Nobel per la letteratura. Per molta della sua storia, il premio è servito generalmente come referendum sul meglio della letteratura occidentale. Per questo compito, i membri dell’Accademia svedese sono stati una giuria utile. Ma, più che in passato, la portata e l’aspirazione del premio Nobel per la letteratura sono veramente globali. È ridicolo che un premio di tale influenza debba essere controllato da un piccolo e riservato gruppo di svedesi, per non parlare di quelli che si sono dimostrati ciechi e sordi alle notizie di violenza sessuale tra i corridoi e altrettanto nei confronti di Handke privo di un valore morale come la condanna del genocidio di Srebeniza.

D’altro canto c’è pure la mancanza di stile. C’è chi ha accettato il premio quasi mortificando l’Accademia svedese, che ha poca spina dorsale per reclamare la propria autorevolezza. Bob Dylan, il vincitore della letteratura nel 2016, non ha nemmeno rilasciato una dichiarazione di ringraziamento e inviato Patti Smith alla cerimonia di premiazione. Intanto, si è ben guardato dal rifiutare l’assegno.

La Fondazione che sovrintende tutti i premi Nobel, farebbe un enorme favore al mondo licenziando gli attuali membri dell’Accademia. Non ho una proposta precisa per una sostituzione, ma sembrerebbe saggio che un premio mondiale di letteratura sia deciso da una giuria diversificata, più partecipativa, cioè, anche delle lingue non europee (che comprendano l’oriente e il sud del mondo, per esempio). E sarebbe saggio non nominare questi giurati a vita, perché il privilegio senza scadenza espone il fianco agli scandali.
Non mi aspetto che l’Accademia svedese con il premio alla poetessa Louise Glück, spera di aver scavalcato i suoi scandali e dimostrato di poter fare il lavoro in modo definitivo. Né posso dire di aver gradito il premio, con tutto il rispetto, alla scrittrice americana per le ragioni dette all’inizio. L’Accademia svedese è fatalmente viziata. Temo sbaglierà di nuovo perché non può superare i suoi limiti intrinseci che trovano le ragioni dell’assegnazione, anche dove francamente non ci sono.

Finisco. E’ scandalosa la mancata pulizia del suo organico ecco perché è il momento di sfidare la sua guasta istituzione piuttosto che ringraziarla e la Fondazione del Nobel non ha mostrato la volontà di fare ciò che dovrebbe. Gli scrittori dovrebbero essere forza di coscienza critica, quindi sarebbe appropriato opporsi all’Accademia svedese. Ecco perché Louise Glück dovrebbe rifiutare il premio per imporre un cambiamento necessario a beneficio dei lettori e degli scrittori di tutto il mondo.

È già successo: nel 1964, Jean-Paul Sartre ha rifiutato di accettare il suo Nobel per la letteratura. Motivò il rifiuto col fatto che solo a posteriori, dopo la morte, fosse possibile esprimere un giudizio sull’effettivo valore di un letterato.  Ma questa è un’altra storia.

Per BookAvenue, Michele Genchi

note:

1       Rund um das Große Tribunal, 2003 – saggio

  • Die Tablas von Daimiel, 2005 – saggio
  • Die Kuckucke von Velica Hoca, 2009 – saggio
  • Die Geschichte des Dragoljub Milanović, 2011 – saggio

.    Un viaggio d’inverno ai fiumi Danubio, Sava, Morava e Drina, ovvero giustizia per la Serbia), 1996 – diario di viaggio trad. Claudio Groff, Torino: Einaudi, 1996

2. L’assegnazione del premio Nobel ha sollevato molte critiche da parte di esponenti del mondo della cultura, tra cui Jennifer Egan e Salman Rushdie. La sua vicinanza alla politica di Slobodan Milošević ha sollevato numerose critiche da parte dei parenti delle vittime della strage di Srebrenica, oltre che dell’ambasciatrice del Kosovo negli Stati Uniti d’America. In riferimento a tali critiche, Handke ha dichiarato di aver manifestato un pensiero a titolo di scrittore e non di giornalista e che le sue non sono idee politiche. Il movimento Le madri di Srebrenica ha chiesto che gli venga revocato il premio Nobel alla luce delle posizioni negazioniste tenute dallo scrittore in riferimento alle stragi compiute dai serbi durante le guerre jugoslave. (da Wikipedia)

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