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Preambolo: “Quando il bambino era bambino, / se ne andava a braccia appese, / voleva che il ruscello fosse un fiume, / il fiume un torrente, / e questa pozza, il mare.” Con questa strofa comincia la celebre poesia di Peter Handke, leitmotiv che percorre tutto l’emozionante, Il cielo sopra Berlino. Girato due anni prima della caduta del Muro, il film di Wim Wenders, Palma d’oro a Cannes per la migliore regia, ha rappresentato e rappresenta un manifesto di speranza in cui proprio il cielo unisce idealmente due terre (Germania Est ed Ovest) e due mondi (capitalismo occidentale – comunismo sovietico di allora), inscenando il doloroso passato e il desiderio di futuro di Berlino.
Quella che ritrae Wenders è una Berlino metafisica, immobile, vuota (Potsdamer Platz), scheletrica (la stazione di Anhalter Bahnhof), una città colpita, malata, di cui gli angeli rappresentano la coscienza ferita. Schiacciata dal peso del suo passato, offesa dalla Storia, la Berlino di Wenders non smette perÚ mai di interrogarsi sul proprio futuro, con lo sguardo infantile e innocente del bambino. Nella sceneggiatura (scritta con il contribuito di Handke ed ispirata ai versi di Rainer Maria Rilke), pensieri, dialoghi e monologhi si intrecciano con tono lirico: il risultato Ë un atto d’amore fino alla fine del mondo per una città abbandonata da Dio ma non dagli angeli. ´Ogni angelo è terribile”, dice Rilke, ma ci aiutano a chiedere scusa delle cose che sappiamo per dirla con le parole della Gualtieri del “Monologo del non so”. Eppure, gli angeli donano poesia e stupore, e “lo stupore – dice Damiel nel film – è quello che rende uomini”.
Questo preambolo per dire che ho trovato nelle parole di Handke il senso più intimo del lavoro autobiografico di Paul Auster mai pubblicato e letto fino ad oggi. Ed è tanto più vero (sottintendendo un “secondo me”) che le parole di Paul Auster sembrano essere state scelte una ad una. Sentite come suonano allo stesso modo: “In principio tutto era vivo. Anche i più˙ piccoli oggetti erano dotati di un cuore pulsante, e perfino le nuvole avevano un nome. Ricorda quel tempo all’inizio del tempo: quando tutto risplendeva nella luce della prima volta. Quando eri bambino. Il momento aurorale in cui vennero tracciati i confini tra il ´mondo fuori, quello delle cose, degli altri esseri umani, delle esperienze – la luna, i cartoni animati, il baseball, la mamma – e quello interiore, della coscienza, dei pensieri, delle delusioni, della felicità…” Molto bello no?
Dopo aver ricordato la sua vita attraverso la storia del suo sè fisico in Diario d’inverno, Paul Auster ora ricorda l’esperienza del suo “sviluppo” interiore attraverso gli incontri del “suo io” con il mondo esterno e di come queste relazioni l’abbiano fatto uomo. Dal suo punto di vista di bimbo Paul Auster osserva l’evolversi degli eventi, dall’uomo sulla luna, ai suoi film-culto di ragazzo: quello di Buster Crabbe nelle vesti del cowboy Billy Carson (l’attore ex oro olimpico conosciuto per Flash Gordon), e Radiazioni BX: distruzione uomo (film, questo, che gli ha cambiato la vita ha detto in una intervista), alla composizione della sua prima poesia quando aveva solo nove anni, alla sua consapevolezza delle ingiustizie della vita americana, e la costruzione di un suo percorso morale, politico e intellettuale che cammina centimetro per centimetro per la strada che lo conduce all’età adulta attraverso gli anni 50 del dopoguerra e i turbolenti anni ’60. Ma, affiancare “Diario d’inverno” a “Notizie dall’interno” potrebbe forse essere un errore. Il secondo capitolo offre la sponda all’autobiografia già affrontata nelle “Notizie”, tuttavia mi chiedo il senso di una operazione di scrittura che divide in tre parti il racconto che analizza, appunto, l’infanzia, i film citati prima e lo scambio di lettere con la sua futura prima moglie. Intendiamoci: la scrittura è il marchio di fabbrica di Paul Auster una sorta di “Made in PA”, ma avverto il lettore casuale di questo libro che potrebbe trovare “pesanti” alcune parti (una bestemmia, questa, per chi ama invece il grande Autore): il racconto minuzioso dei due film dell’olimpionico, l’altrettanta descrizione delle lettere alla fidanzata, e una certa idea impudica dell'”io”.
Capisco pure che ripescare tutto il materiale intellettuale e morale deve essere costato molta fatica: presumo sia pure un esercizio dovuto alla scrittura e che ha aiutato l’autore a fare la quadra su molti aspetti della sua vita.
Paul Auster evoca i suoni, gli odori e le sensazioni tattili che hanno segnato la sua esistenza e le tante immagini che il tempo, man mano gli ha offerto, compreso quelle in movimento (ho scoperto che adorava i cartoni animati) fino a quando, al suo culmine, il libro si stacca dalla prosa trasformandosi (sempre, “secondo me”) in immaginario puro: la sezione finale del libro ricapitola le prime tre parti, come in un album di foto. La storia del suo tempo, che la rende “la storia” autobiografica di tutti e la storia della coscienza emergente di un artista di fama letteraria. Questo lavoro risponde alla sfida di una autobiografia collettiva altro che interiore! Cosa, questa, mai vista prima in letteratura.
per BookAvenue, Michele Genchi
Paul Auster,
Notizie dall’interno,
Einaudi
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trad. Monica Pareschi
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