Noi siamo figli delle stelle

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   Tempo di lettura: 3 minuti

copertinaLa ragazza che rubava le stelle – titolo originale The map of true places – , il nuovo romanzo di Brunonia Barry, è bell’esempio di come la psicologia possa indossare un bel vestito dentro un romanzo, un vestito sobrio, senza tonalità da chick-lit. 

Zee è una psicoterapeuta dei giorni nostri, immersa nella realtà di un’America psicolabile post 11/09, ed è fidanzata con un collega che qualunque lettrice donna riconosce immediatamente come l’uomo che non si vorrebbe mai sposare. Ma Zee è anche una ex bambina che rubava di notte le barche e i motoscafi che restituiva qualche molo più in là, è una che da piccola veniva soprannominata Guaio, e soprattutto Zee è figlia di una donna con sindrome bipolare che un bel giorno decide di suicidarsi.

Zee ha in cura una paziente, che soffre di un disturbo simile a quello di sua madre, e anche lei, senza alcun preavvertimento che i suicidi generalmente lanciano, si toglie la vita. Il presente rievoca il passato ma come tutti i passati congelati e mai risolti, anche il suo torna prepotentemente d’attualità.

Da quell’evento scatenante, Zee è costretta suo malgrado a fare i conti con gli snodi insoluti della sua vita. Nel prendersi cura del padre malato, comincia a fluttuare tra la propria psiche – che quasi non riconosce più – a quella della sua paziente morta suicida, di cui cerca di approfondire i percorsi mentali, quando ormai è inutile e persino pericoloso. A fare da sfondo simbolico e reale c’è il mare, che porta con sé leggende e velieri, racconti di case-rifugio e di viaggi-fuga, belle magie e terribili naufragi. Zee perde la bussola della sua vita e comincia a muoversi scompostamente su di una barca che ha invece un bisogno disperato della sua guida. Si lascia con il fidanzato, molla il lavoro, e si sottopone a un’autoanalisi feroce che ne compromette tutte le sicurezze. Procedendo a tentoni, tra la paura di scoprire la verità e il bisogno di conoscerla, Zee eviterà la deriva in un solo modo: attraverso gli altri. Perché se nella navigazione non si può procedere senza tener conto delle stelle – “qualsiasi cosa accada, si può essere certi che le stelle ci diranno dove siamo e allora, da qualunque luogo, saremo in grado di tornare a casa” -, così nella vita “siamo il prodotto di ogni contatto che stabiliamo, e a volte di associazioni che ereditiamo da persone che non abbiamo nemmeno conosciuto”.

E perché non c’è fantasma che, illuminato, faccia ancora paura. La ragazza in fondo rubava le stelle solo perché non vedeva al buio, e perché la vita è una continua esplorazione. Lo scriveva Herman Melville: “non è segnata su nessuna carta: i luoghi veri non lo sono mai”.
Per BookAvenue, Paola Manduca

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