Roth Philip, Il fantasma esce di scena

philiproth elabora by ©mg
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Sono passati tre decenni, dal giorno che Philip Roth ha pubblicato “Lo scrittore fantasma”, il primo dei suoi numerosi romanzi-cronaca delle avventure del suo più noto alter ego, Nathan Zuckerman.
In questo libro Nathan Ë stato uno catturato dagli occhi di un giovane scrittore, Richard Kliman, desideroso di scrivere una biografia culto di un protagonista assunto all’altare della culla letteraria: lo scrittore Lonoff,  conosciuto negli anni precedenti nel Berkshire, dove ha passato una tranquilla esistenza lontano dalle distrazioni della città e lontano dalla confusione letteraria. Non molto differente dall’esistenza che Roth ha scelto, da quando ha preso casa in una tranquilla cittadina del Connecticut in mezzo al verde.

Nei romanzi successivi abbiamo appreso che Zuckerman  ha raggiunto la stessa fama di  Lonoff  con uno scandaloso best seller ,(non diversamente da Roth con “Lamento di Portnoy) che ha, però, tagliato fuori la sua famiglia e il suo passato, e lo costrinse ad affrontare le conseguenze non calcolate della sua arte. Abbiamo anche imparato che, dopo una serie di tumultuosi rapporti con varie donne e un assortimento di medici e  malesseri psicologici, Nathan aveva finalmente replicato l’esistenza reclusiva di Lonoff. Per oltre un decennio egli aveva vissuto solo in una piccola casa su una strada sterrata nello Berkshire, vedendo alcune persone e udito, da lontano, po’ ‘di notizie.
Le sue giornate (e molte notti) sono trascorse sospese dalla lettura di grandi capolavori della letteratura che ha scoperto come uno studente come molti decenni prima.

Ora, un Roth elegiaco nel nuovo romanzo, “Il fantasma esce di scena” – scrive una sorta di commiato dello “scrittore fantasma”: Nathan ritorna a New York per una visita urologica e si trova essere tentato, contro la sua migliore resistenza, di nuovo nel vortice della vita.
Egli accetta uno scambio di case per un anno con due giovani scrittori, Jamie e suo marito, Billy, che vivono in un piccolo appartamento sull’Upper West Side. Nel frattempo si sistema all’Hilton sulla Sesta.  E si sente improvvisamente attratto -sessualmente parlando- di Jamie, perduto e senza speranza di questa vivace 30enne, felicemente sposata, delirando che la donna lascerà il marito per lui – un famoso scrittore di 71-anni, il quale, dopo un intervento chirurgico alla prostata, è diventato quasi impotente e incontinente.
New York è il posto più mondano del mondo per decidere di fare una vita da recluso come prima. E gli incontri sorprendono chi quella vita la sceglie. E per uno come Zuckerman possono essere causali anche contro la sua volontà; ecco quindi che Nathan re-incontra Amy Bellette, l’ex di Lonoff, solo per scoprire che la bellissima giovane donna con cui ha passato una notte (senza sesso) a casa di Lonoff, sorpresi dalla pioggia quasi un secolo prima, è ora un valido avanzo di un intervento di chirurgia cerebrale andato storto.

Da queste ossa nude Roth ha creato una malinconia, anche molto divertente: una meditazione in materia di invecchiamento, tasso di mortalità e solitudine, nonchè le perdite che vengono con il passare del tempo. Tema caro negli ultimi suoi libri  “Everyman”, e  “L’animale morente”. Ma anche in Patrimonio. Il confronto con il Roth della grande trilogia del dopoguerra ( “pastorale americana”, “ho sposato un comunista” e “la macchia umana”), che ha spiegato con una coraggiosa cronaca la perdita dell’innocenza e delusione degli americani e del loro Paese, questo libro sembrerebbe un modesto impegno, ma ha un senso di sincera emozione e per gli appassionati lettori dei libri di Zuckerman, esso fornisce una commovente fine alla storia di Nathan, mettendo il punto sul suo viaggio da giovane idealista alla passioni della mezza età alla resa dell’età adulta.
Anche se Nathan pensa che l’aver abbracciato la vita ascetica abbia i suoi vantaggi-  “ho trovato nella mia solitudine una specie di libertà che è stata a mio piacimento la maggior parte del tempo” spiega,  e passa spesso dei  giorni senza scambiare parola con nessuno, salvo la sua governante o custode, non si sottrae dalle fantasie deliranti circa Jamie. Pur tuttavia sottraendosi a comodità tipo un cellulare,  un videoregistratore, un lettore DVD o un computer. Egli continua a vivere nell’età della macchina da scrivere, sostenendo che non sa quello che fa il World Wide Web. Egli non ama guardare la TV.
“Avevo bandito il mio paese”, egli spiega, “Ë stato bandito da me anche l’erotico contatto con le donne, ed ho sempre considerato una battaglia persa la fatica di arrendersi al mondo dell’amore”

Dicevamo: attratto da Jamie e sconvolto per ciò che è avvenuto alla testa di Amy Bellette (ha un cancro) e poiché egli ha intravisto il suo ultimo anno, Nathan si trova alle prese con i sentimenti che aveva pensato fossero morti soffocati molti anni prima e vive “l’amara impotenza di un uomo anziano prossimo a morire e invece ritrovarsi ad essere tutto nuovo di fronte ad un mondo nuovo”. Le due storie delle donne convergono nella persona di Richard Kliman, l’ex fidanzato di Jamie, che lavora su una biografia di Lonoff. 
Amy vuole prevenire Kliman: pensa a lui come un altro di quegli uomini fastidiosi e importunanti – (per capirci: come Alvin Pepler in “Zuckerman scatenato” e Moishe Pipik in “Operazione Shylock”) – che tormenta il Nathan scrittore e intellettuale, il quale invece, guarda in lui tutto ciò che detesta: un indegno rivale per l’affetto verso Jamie e un ambizioso parassita letterario che vuole rovesciare Lonoff dal suo piedistallo (rivelando una incestuosa vicenda di questo grande scrittore vissuta presumibilmente quando era giovane).
Kliman rappresenta anche l’età giovane di fronte alla decadenza di Nathan: mentre Kliman è uno di quel genere di persone che in America viene definito come i “non-yets” -i, non ancora- con nessuna idea di come le cose possono rapidamente rivelarsi in un altro modo, Nathan appartiene al gruppo dei “non-longers”, -i, senza molto tempo d’avanti- coloro che fanno i conti con il perdere la facoltà, perdere il controllo, vergognosamente diseredati da se stessi, segnati da privazioni e vivendo la decadenza del corpo con la ribellione della mente di fronte allo sfascio. Che non farebbe ridere, se la situazione che accade nei pantaloni del protagonista non fosse comica (un misto di arrapamento e problemi di perdite dovute alla tradizionale incontinenza senile aggravata dal suo stato post operatorio).
Non passerà inosservata la situazione alla imbarazzata Jamie che si difenderà dall’attacco intellettuale di Nathan e, peggio, dall’accusa di essere ri-divenuta amante del giovane biografo a dispetto della sua condizione di sposata.
Causa, questa, del fallimento di Kliman di fare di Zuckerman il suo mentore nella stesura del testo, e di fronte al furto presunto a casa della semi incosciente Amy del manoscritto di Lonoff sulla vicenda che lo trascinò nello scandalo.
Finisce anche l’avventura nel mondo nuovo del protagonista, durata appena una settimana.  Dopo il conclusivo scontro con il giovane biografo, tornato in albergo deciderà di lasciare in tutta fretta la città e di tornare a casa ad aspettare i prossimi appuntamenti con la sua nemesi.

Roth sì è divertito a mescolare per tutti questi anni finzione e realtà, tra vita reale e racconto.
E Nathan risponde al suo creatore e al lettore sulla sofferenza, di come essa non sia già abbastanza amplificata senza bisogno di un luogo immaginario.

per Bookavenue, Michele Genchi


 

copertina

Philip Roth
Il fantasma esce di scena
Einaudi

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