Non capita spesso che un libro che parla di economia di quasi mille pagine diventi un bestseller, a ben vedere, non solo in Italia. Uscito un paio di anni fa, il libro è scritto da Thomas Piketty – dell’autore dico dopo – ed è stato allora salutato da Paul Krugman, premio Nobel per l’economia nel 2008, come un lavoro che “cambierà il modo di riflettere sulla società e pensare all’economia”.
Per farla breve, il Capitale del XXI secolo, è un libro sulla disuguaglianza nella distribuzione dei redditi nei paesi industrializzati, e per fare questa sintesi, ho impiegato tre mesi per portalo a termine, tra lunghe appassionate letture e altrettante miserevoli pause. A totale scusa, il fatto che Dicembre non è un mese indicato per leggere libri impegnativi come questo, in specie se si fa un lavoro come il mio. L’autore è diventato una icona e un opinionista molto ascoltato da molti governi in specie quelli che si definiscono progressisti o ambiscono a farsi passare per tali, compreso il nostro.
Negli ambienti accademici di Francia, e via via di tutto il mondo, il libro è stato salutato con grande entusiasmo, lo stesso che ha sostenuto il tam-tam sulle pagine dei giornali e delle riviste specializzate facendone diventare molto presto un caso editoriale senza precedenti per un saggio di questo tipo e alimentato il dibattito sulle finalità proprie dell’economia o se c’è bisogno di ripensare il ruolo che essa deve avere per definire i destini delle nazioni.
L’autore ha un cervello grosso così. Ha solo una quarantina d’anni o poco più; nel ’89 entra all’Ecole normale superieure e nel giro di quattro anni si laurea brillantemente a tal punto da ottenere immediatamente un impiego come professore associato presso la facoltà di economia del MIT, negli Stati Uniti. Lascia il prestigioso posto, dopo un paio di anni, per tornare in patria e lavorare al centro nazionale di ricerca scientifica dal 1995. Nel 2002 ha vinto il premio come miglior (giovane) economista di Francia e nel 2006, a soli 35 anni, diventa direttore della scuola di economia di Parigi.
Ma la sua brillante e rapidissima carriera non la deve solo al suo straordinario talento. Leggendo alcune recensioni che hanno salutato l’uscita del libro, molti hanno sottolineato che una buona parte del suo successo è dovuto alla sua estrema modestia, una caratteristica che lo definisce sul piano intellettuale e influenza la sua visione delle scienze economiche.
In una di queste, se ricordo bene, ha detto che l’economia è una scienza inesatta. Niente ha danneggiato questa disciplina più dell’arroganza di chi ha voluto attribuirle una esattezza e capacità di previsione quasi naturalistiche. L’economia è una scienza sociale, niente di più niente di meno. Può impiegare modelli matematici anzi, è assolutamente necessario che lo faccia, ma le attività economiche sono svolte da persone – da esseri sociali – quindi le scoperte delle scienze economiche non sono meno contestabili di quelle di altre discipline sociali.
La ricetta di Piketty contro questa eccentricità di modelli che non corrispondono – in tutta evidenza – alla realtà è più semplice di quanto si pensi. Spostare il punto di vista sull’impatto e le conseguenze sociali piuttosto che del risultato economico in sè.
In effetti, a leggere l’economia in questo modo, c’è da rimanere affascinati. Il libro analizza l’evoluzione nella distribuzione dei patrimoni e dei redditi. La novità significativa dei suoi studi sta nella scoperta che nei paesi industrializzati oltre le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi sono aumentate anche quelle legate ai patrimoni. In particolare, la crescente rilevanza delle rendite finanziarie potrebbe causare, in futuro (quindi, domani mattina) una distribuzione dei redditi ancora più iniqua. Se i governi non adotteranno contromisure efficaci, gli stati industriali potrebbero essere nuovamente dominati da persone che vivevano di rendita come all’inizio del Novecento. Insomma, l’economia di mercato, la stessa con quale si riempiono la bocca anche i giovani neofiti fiorentini della politica, ci sta portando dritto dritto ad una nuova Belle Epoque dell’Europa. Nel giro di una generazione le società borghesi in cui abbiamo vissuto finora potrebbero scomparire, e una casta di milionari potrebbe arrivare a dominare l’economia e la politica. E per dirla tutta, la crisi di quelle società borghesi ci hanno fatto fare due guerre mondiali.
Ci sarebbe molto altro da dire ma la chiudo qui.
La mia riflessione finale è dovuta alla consapevolezza che la disuguaglianza nel reddito non è tanto un problema di disparità tra i salari ma piuttosto una conseguenza inevitabile del rafforzamento del capitale. Ultimo, questo libro è un monumento che cambierà l’approccio con cui si guarda l’economia ed è interessante anche per chi non è esperto di questa scienza e vuole saperne si più. Il libro è abbastanza facile da leggere anche perché corroborato da un approccio letterario viste le diverse citazioni di Balzac e Jane Austen. Non a caso l’autore si rivolge ai cittadini come volesse fornire uno strumento di conoscenza e arma di lotta, piuttosto che ai consulenti dei presidenti del consiglio.
per BookAvenue, Michele Genchi
*ndr. questo articolo è stato pubblicato per la prima volta il 6.2.17