tempo di lettura 3min
Solo dieci anni fa, Jonathan Franzen con David Foster Wallace e Jeffrey Eugenides erano considerati semplicemente un gruppo di romanzieri americani verso la mezza età. Nel diluvio di elogi, ricordi e apprezzamenti che seguirono al suicidio di David Foster Wallace, si manifestò rapidamente una nuova consapevolezza: quella, cioè, che Wallace e i suoi pari, costituivano la generazione letteraria americana dell’era di internet al pari di quella dei Bellow, Updike e Roth che aveva testimoniato la letteratura a stelle e strisce nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale.
Sono già passati dieci anni dalla scomparsa del genio paragonato a Thomas Pynchon, Vladimir Nabokov e Borges: il tempo corre veloce. È difficile, oggi, pensare ad una nuova generazione letteraria. YouTube, Twitter, migliaia di blog che parlano di tutto, nuovi modelli di intrattenimento vengono trasmessi ogni giorno sulle nostre connessioni wireless, e per il romanziere moderno questi intrattenimenti hanno spesso sfumature minacciose. Wallace rese l’intrattenimento stesso l’antagonista nella sua distopia del futuro prossimo: l’indimenticabile Infinite Jest. Jeffrey Eugenides, nel suo romanzo La trama del matrimonio, considera la teoria letteraria postmoderna come un oggetto sospetto: perché non possiamo semplicemente goderci un buon vecchio romanzo con un’intricata trama senza menarcela? Ma è Jonathan Franzen che ha fatto di più per dare l’allarme riguardo i tempi apparentemente idioti in cui viviamo.
“che senso ha l’impegno sociale, politico, che senso ha la letteratura in un mondo che sta per finire?”
Nessun scrittore americano è più celebre: la rivista Time lo ha messo in copertina con il titolo ” Il Grande Romanziere Americano”. Chi altro potrebbe essere invitato al “Book Club” di Oprah Winfrey, rifiutare l’invito e poi essere invitato nuovamente dopo aver pubblicato un altro libro? Le opinioni di Franzen sulla tecnologia, sono segnalate come notizie culturali. I suoi libri, che compaiono ogni cinque anni circa, sono “eventi” in un’industria che ne ha fortemente bisogno (e la nostra con la loro).
Arrivo al punto tra un momento, non prima di fare alcune considerazioni. I saggi raccolti nel precedente Più lontano ancora (Farther Away), comprendono diversi pezzi narrativi, dal bird-watching al declino ambientale, brevi meditazioni sulla famiglia, elogi per amici morti e persino una finta, satirica intervista allo Stato di New York. Ma, a guardare bene il filo rosso che tiene insieme la sua saggistica fino a La fine della fine della terra oggetto di queste righe, non si registra altro che una cosa: Jonathan Franzen non smette mai di lamentarsi di qualcosa!
Franzen si lamenta della tecnologia. “Non sono contrario agli sviluppi tecnologici“, scrive l’autore all’inizio di un capitolo di Più lontano ancora, sui telefoni cellulari, prima di continuare a contraddire se stesso per 20 pagine. “La moderna tecnologia di consumo“, sostiene, “promuove il narcisismo”, e il telefono cellulare in particolare, che “consente e incoraggia l’influsso personale e individuale sul pubblico” e, ha fatto “un danno duraturo di reale significato sociale“. I sentimenti di Franzen sulla tecnologia, sono di indicibile disprezzo e incomprensione. In ogni caso, il soggetto tira fuori il peggio nello scrittore.
Franzen si lamenta anche del declino della cultura letteraria per la quale, naturalmente, la colpa è in larga misura della tecnologia. L’America, scrive, “non prende sul serio gli scrittori come in passato “(usa davvero quelle parole), e anche quei pochi che continuano a prendere sul serio gli scrittori non lo fanno nel modo giusto. “Molti compratori di narrativa seria”, scrive, “sembrano piuttosto preferire cose liriche, tremendamente stucchevoli e finte-letterarie.” È difficile sapere di cosa stia parlando poichè si riferisce agli stessi compratori di fiction che sembrano preferire i suoi romanzi e meno la sua saggistica. Sbaglia a lamentarsi, dopotutto, Libertà (2010) e Le correzioni (2001) hanno entrambi venduto centinaia di migliaia di copie.
Infine, Franzen si lamenta del collasso ambientale, e qui, alla fine, è persuasivo. I saggi del libro, usano tutti il birdwatching come mezzo per affrontare la catastrofe ecologica, i modi in cui questa catastrofe può o non può essere vissuta dai singoli individui e cosa significhi per il futuro del pianeta. Questi saggi sono un sollievo. Del resto, è solo un dato di fatto che l’ambiente è nei guai, mentre i pericoli sociali degli smartphone sono meno evidenti ma vi sfido a fare due passi senza incontrare qualcuno con le orecchie attaccate al suo telefono.
In un’intervista di qualche anno fa, Franzen ha ammesso di aver smesso di cercare di imitare i grandi del postmoderno quando ha capito che “il mondo si rifiuta di essere cambiato da ciò che stai scrivendo“. L’arte di Franzen, in altre parole, è nata dal pessimismo e dalla sconfitta mentre osserva la fine del postmodernismo (con buona pace di Paul Auster). Ansioso per il futuro del romanzo, Franzen ha reso la prosa di Libertà la più discreta possibile in modo che le persone potessero avere la possibilità di godersi il libro con facilità e senza intoppi. Frustrato dal fatto che il postmoderno letterario non avesse fatto nulla per tenere i neoconservatori fuori da Washington, decise che l’intero sforzo, tutte le teorie e gli esperimenti raccolti, era stato un fallimento.
Questo spiega in qualche modo perché Franzen si lamenti sempre in Più lontano ancora. Il lamentoso è qualcuno che odia le corde del mondo e crede che i mali siano permanenti; ad un certo punto dice:” …il meglio che puoi fare è registrare la tua infelicità e andare avanti con la tua vita”. La cosa più triste in Libertà è che il titolo è ironico. “La personalità è suscettibile al sogno della libertà senza limiti“, scrive Franzen in quel romanzo, “ma la personalità è incline, se il sogno si inasprisce, alla misantropia e la rabbia“.
Di fronte a sogni che potrebbero ritorcersi contro, Franzen e i suoi coetanei di penna hanno spesso avuto paura delle proprie intuizioni. Franzen è spesso sull’orlo di un pensiero radicale – per esempio, che il controllo della popolazione potrebbe essere necessario per salvare il pianeta. Si potrebbe obiettare puntando a David Foster Wallace, che ha fatto un uso molto ampio della sua ironia sulle cose del mondo come sperimentazione tecnica più di qualsiasi altro dei suoi contemporanei. Eppure, nonostante tutte le sue divagazioni, narrazioni frammentate e note a pie ‘di pagina, persino Wallace a volte ha mostrato un sorprendente tipo di timidezza intellettuale quando si è trattato di fare argomentazioni morali sul mondo in cui ha vissuto. Anche se il suo capolavoro, Infinite Jest, è stato descritto come una satira della vita americana a fine del secolo scorso, è stato sempre lodato per la sua generosa, quasi illimitata, bontà di spirito. La vera satira, tuttavia, è ingenerosa. Infinite Jest prende in giro il mondo, ma alla fine ama tutti troppo per dire “No!” a qualsiasi cosa. Ci sono qualità ammirevoli per il lavoro con cui guardano il disordine del mondo sia Franzen che Foster Wallace, una scuola di scrittura alla quale tutti i giovani scrittori dovrebbero aspirare.
Ed eccoci al tema di questa divagazione. La passione di Franzen per il birdwatching è quasi altrettanto nota dei suoi romanzi. In La fine della fine della terra, chiarisce che i cambiamenti climatici rappresentano una minaccia esistenziale a medio termine. Tuttavia, secondo Franzen, la posizione della società americana, in specie quella del governo Trump, è “strettamente disonesta” e altrettanto potenzialmente dannosa, in quanto scoraggia le persone “dall’affrontare i problemi ambientali risolvibili nel qui e ora“. In effetti, la cecità del presidente americano è nota; tempo addietro ammise che il problema della morte degli uccelli fosse attribuibile...alle correnti d’aria. Ma chi è il genio che scrive le note presidenziali?.
Franzen si impegna abilmente sia per la loro presa su di lui come birdwathcer sia per il loro significato simbolico, dice: “Se tu potessi vedere tutti gli uccelli del mondo, vedresti l’intero mondo“. Mentre le pagine scorrono, diventa più difficile distinguere i murres, i taikos e i problemi che combinano le petroliere. Eppure, ci sono saggi in cui l’equilibrio tra forma, contenuto e voce è perfettamente chiaro, come è chiaro che sei in presenza di un grande e provocatorio pensatore. Il saggio di apertura, “Salva quello che ami” è sulla Audubon Society. Il loro sito cita: “La National Audubon Society protegge gli uccelli e i luoghi di cui hanno bisogno, oggi e domani, in tutte le Americhe usando la scienza , la difesa, l’educazione e la conservazione sul terreno“. Dopo l’auto-disamina retrospettiva delle sue debolezze: a suo tempo è stato contestato per non aver guardato il problema ambientale più in là del suo proverbiale paio di occhiali, Franzen contestualizza con una certa efficacia gli argomenti e permette a chi legge di affrontare un tema complesso come quello della tutela dell’ambiente senza essere riduttivo.
Poi c’è il tema del titolo, alla chiusura della raccolta dei testi, riunisce tutti i suoi filoni (cambiamenti climatici, umanità, pensiero, scrittura e… uccelli). Nel saggio finale, Franzen intreccia strettamente, due plot narrativi: la sua spedizione su una nave da crociera in Antartide , e la vita di suo zio Walt, il cui lascito (inatteso) gli ha pagato il viaggio. Le linee temporali divergono (il viaggio dura un paio di settimane, zio Walt ha vissuto fino a tarda età) ma combinandole, Franzen mostra abilmente come si parlino tra loro. Sono entrambe storie sulla vita e sulla morte: Walt, ha perso sua figlia (in un incidente automobilistico ventenne) i suoi amici di guerra, sua moglie e la madre prima che la morte lo raggiungesse; l’Antartico è allo stesso tempo una terra di limite: la fine letterale e metaforica del mondo che, a causa al cambiamento climatico, si sta estinguendo. Il lettore scopre, pure, che la vera risonanza tra i due racconti è il sentimento di urgenza che il mondo chiama a sostegno del valore e della bellezza della vita. Walt sopravvisse alle sue tragedie, tenne fede al mondo e “non smise mai di improvvisare“; in Antartide, Franzen, si trova faccia a faccia con un pinguino re e scopre che “mi sembrava, in sé, una ragione sufficiente non solo per aver fatto il viaggio ma anche una ragione sufficiente per essere nato su questo pianeta “.
Finisco. È il lavoro di uno scrittore che offre a chi legge profonde intuizioni con delicatezza e grazia. Commuove, quasi, quando sollecita l’azione climatica con qualche possibilità di successo. Vale la pena vivere dove “anche in un mondo di morte”, conclude Franzen, “continuano a nascere nuovi amori”.
Ecco come la letteratura è testimonianza del mondo.
per BookAvenue, Michele Genchi
il libro. La fine della fine della terra, Einaudi ed. 2019 Traduzione di S.Pareschi, pp.216
fonti:
Sarah Crown per il Guardian
Bill McKibben per il NYT
Simonetta Fiori per Repubblica
Mauro Garofalo per La stampa