Settembre 1933. All’ombra di un portone, Elise aspetta sotto la pioggia l’apparizione di Virginia Woolf, la scrittrice di cui venera le opere. Ma non osa avvicinarla. Poche ore più tardi, ritroverà Parigi e la sua piccola libreria nel Quartiere latino. Nello stesso momento, la giovane Camille Galay torna a calpestare il suolo francese dopo anni di esilio e di lacrime negli Stati Uniti.
La sera, una piccola impiegata di Chanel balla alla Coupole sognando di aprire una boutique tutta sua. Apparentemente, questi personaggi non hanno niente in comune, ma presto tutti si troveranno trascinati dal vento della storia, verso la Germania e i primi campi di concentramento.
Con I figli delle tenebre, Anne-Marie Garat reinventa il melodramma, rispolvera il romanzo storico, riporta in vita il romanzo d’appendice. La narrazione si situa in un’Europa che subisce ancora gli effetti della grande depressione e sente incombere la minaccia nazista. L’autrice promette altri due volumi, per abbracciare tutto il novecento, mettendosi così nel solco di Victor Hugo e dei Miserabili. Se il progetto è faraonico, il risultato è entusiasmante. Anne-Marie Garat ha grande cura dei dettagli pur senza annegare nella documentazione. I figli delle tenebre sa parlarci dei destini individuali e delle ambizioni collettive, della polizia segreta e dei treni della morte, delle foreste autunnali e delle tristi notti del cacciatore. Bellissimo.
Anne-Maria Garat, I figli delle Tenebre, Il saggiatore