La crisi di vendite dei libri. Fine di un anno disastroso

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Uno su due non legge e quelli che leggono vanno in libreria sempre meno. Oltre al calo delle vendite, che ha portato molte librerie, soprattutto indipendenti, alla chiusura, si registra un costante calo di presenze dei lettori e di frequenza di visita nelle librerie. In breve: sono sempre meno le persone che entrano in negozio. Di questo fenomeno sono le librerie indipendenti a pagare il prezzo più alto (-4.15%) mentre quelle di catena soffrono meno (più o meno il -2%). >>

 

 

La recente ricerca di Ibuk suggerisce pure che le librerie sotto i 300mq stanno chiudendo una dopo l’altra. Quelle di catena sopra quella soglia, resistono.  si considerano i canali della piccola, media e grande distribuzione, a fine ottobre si è registrato un – 4,6 % di fatturato, vale a dire 43milioni di euro circa in meno rispetto allo stesso periodo del 2013.

C’è poi un grande caos intorno: editori che chiedono ai lettori la vendita diretta per non perdere la percentuale, elevata, che altrimenti finirebbe alla distribuzione, librerie indipendenti che cercano di restare aperte organizzando reading e letture. Librerie delle grande distribuzione, in crisi anch’esse, che chiedono di vendere di più. Amazon che non vive del consenso di tutti, a causa dello sfruttamento dei lavoratori, ma del resto c’è chi ormai non ne può fare a meno. Insomma per i libri è così: chi li ama ha diversi canali da sfruttare e li acquista secondo la propria sensibilità e volontà. E ciascun amante dei libri vive di vizi e abitudini propri. Chi non ama i libri, invece, non si pone neanche il problema. Ed è questo scarso amore a disinteressare e a causare quella negatività di cui sopra.

La realtà del mondo editoriale si presenta come un dramma. Persino le scuole non ne acquistano quasi più. Saggi, biografie, narrativa contemporanea e non. ll Il problema non sta tanto nelle molteplicità di alternative e nelle differenti richieste di aiuto da parte di chi vende libri, editori e librai, e che i fruitori di cultura cercano di accontentare tenendo alla sopravvivenza del mercato librario. Il disastro vero siamo noi,  che non mostriamo più interesse per i libri; gente che non ha curiosità di andare a cercare, scoprire e acquistare poi cosa propone l’editoria al di là di quello offerto dalla grande distribuzione. Perché se è vero che c’è tanta spazzatura, saremo d’accordo che con un po’ di pazienza si possono trovare libri memorabili, o nella peggiore delle ipotesi trovare ancora rifugio nei classici.

Insomma, più che parlare della crisi dell’editoria, dovremmo parlare sulla crisi del lettore, perché per accendere l’editoria c’è bisogno, soprattutto di lettori, poi di tutto il resto, come fosse una vera catena di montaggio. Insomma, leggere non dovrebbe essere un “dovere” di un cittadino? L’educazione alla lettura dovrebbe circolare tra i banchi della scuola e le pareti di casa, sin dai primi anni del bambino. Siamo noi a dover riaccendere questa editoria, noi prima di chiunque altro.

Infine una curiosità: c’è pure chi ha avuto l’idea di portare i libri dove non sono di casa, e in particolare in quegli esercizi commerciali dove si spende mediamente mezz’ora del proprio tempo a ogni visita, se si è uomini, o anche due ore, se si è donne: le sala da barba e i parrucchieri.

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