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Fight Club avrà un sequel
Chuck Palahniuk ha confermato che si è messo la lavoro per scrivere il sequel di Fight Club romanzo bestseller e poi cult movie (regia di David Fincher). Il sequel di Fight Club sarà una graphic novel, un fumetto che sarà scritto e disegnato con la collaborazione di artisti della Marvel, DC e Dark Horse
Chuck Palahniuk, autore di romanzi di successo come Soffocare (con adattamento cinematografico di Clark Gregg), Gang Bang e Dannazione, ha dato la notizia direttamente via Twitter e poi con una mail pubblicata dall‘Huffington Post:
È vero. Chelsea Chan mi ha presentato agli artisti di Marvel, DC e Dark Horse e mi stanno guidando passo passo. Probabilmente sarà una serie di libri che racconteranno cosa ha fatto Tyler Durden negli ultimi dieci anni. Oggi sarà lui a raccontare la storia: Jack è ignaro di tutto e Marla è annoiata: il loro matrimonio è scomparso nella noia suburbana, ma quando il loro bambino, Tyler, verrà rapito, Jack sarà costretto a rituffarsi nel Progetto Mayhem. Non abbiamo ancora cominciato a cercare seriamente un editore – conclude Palahniuk – Non prima che io abbia gettato le fondamenta dell’intera storia”.
Ricordi di una educazione cattolica
Sopporto male gli autori che danno alle stampe le loro memorie. Ci vuole un ego ipertrofico oltre ogni dire per pensare che la propria esistenza sia così interessante da meritare di permanere a dispetto degli alberi sacrificati a immortalarla. Alle memorie di Mary McCarthy si aggiunge l'aggravante della sua scintillante impudenza: è un'intelligenza ingombrante che sa tutto, ricorda tutto o comunque è in grado di porsi il dubbio, non risparmia niente a nessuno (a onore del vero nemmeno a se stessa) e giudica e commenta ogni cosa; nelle pagine che seguono vi accorgerete che ha già scritto lei anche la sua prefazione, giusto per dire che a questo libro non servirebbe una sola riga in più, tantomeno mia. Immagino sia proprio per questo che la voglio scrivere: l'impudenza è una delle poche temerarietà che invocano compagnia.
Le sorelle dell’oceano
Mentre fa la verticale reggendosi sulle mani, Katie sogna il mare con le sue acque scure e misteriose. Da qualche parte, nel suo appartamento, suona il telefono. La sveglia sul comodino segna le 2.14 e Katie pensa immediatamente a sua sorella Mia che è dall’altra parte del mondo e sbaglia sempre il calcolo dei fusi orari.
C’è qualcosa di minaccioso e angosciante in quello strano suono nella notte. Katie è preoccupata e mentre sta per raggiungere l’apparecchio pensa alla brutta litigata con Mia del giorno prima. Parole taglienti, dure, velenose. Pensa che ora finalmente potrebbe chiarirsi e forse anche scusarsi con Mia… Fa per rispondere, ma il telefono è muto, non suona più. Forse si è sognata tutto, pensa.
Alice Munro. La memoria ci salva la vita
Non conosco Alice Munro così bene da dire che "La vista da Castle Rock" sia un libro autobiografico o di memorie: più di una nota letta sul web mi suggerisce un poco che sì, si tratta di un libro assai intimo e scritto in tempi diversi dall’autrice canadese e, no, non è un libro di memorie. Mi pare di capire che presta molta attenzione alle verità che stanno di solito dietro le vite, molta di più di quanto non faccia un romanzo. Tuttavia non sono così certo da giurarci su'.
Il sesso ha molti riflessi. Ci vogliono tre libri per scoprirli
Le porno mamme alla riscossa.
Arrivi alla fine un pò provata, ma con la curiosità di sapere come continua questa storia d'amore in cui in non detti riservati all'immaginazione hanno lasciato il posto ai rapporti espliciti e descrizioni minuziose, con posizioni e orgasmi. In riflessi di te, secondo capitolo della Crossfire Trilogy di Sylvia Day, Eva e Gideon continuano a prendersi e a lasciarsi, dopo essersi conosciuti e subito amati in A nudo pe te. >>
Come riconoscere il proprio Angelo Custode da piccoli inequivocabili segnali
Don DeLillo è sempre stato affascinato dal potere delle immagini. I suoi romanzi, in particolare quelli che sondano il nostro tempo (leggi, Underworld, Americana, L’uomo che cade) evocano fortemente questo potere. Non c’è nulla di illusorio nelle effusioni di una folla in lutto (in "L'uomo che cade": la scena della gente che si abbraccia sotto una fitta pioggia di fogli per stampante e polvere mista a cemento), una scena ricca di significati complessi che si accumulano sotto una tragedia collettiva.
E, in effetti, quelle immagini tendono riconoscere una certa liquidità delle cose e le associazioni offerte così sovraccariche di portentose implicazioni simboliche, sembrano pure ribellarsi allo status quo dell’evento che le hanno generate e per questo finite sulle pagine dei suoi libri.
Il Nobel logora chi non ce l'ha. Anche Philip Roth
Ognuno ha le proprie ossessioni senili. Philip Roth, che non ne avrebbe per nulla bisogno, ha quella per il Nobel, sempre agognato, mai vinto.
A Los Angeles, alla presentazione di un documentario sulla sua carriera, Roth ha attaccato il comitato del premio: «Ho corso con cavalli molto veloci - ha detto Roth, citando William Styron, E.L. Doctorow, John Updike e Joyce Carol Oates, tutti giganti della letteratura americana esclusi dal prestigioso riconoscimento dell'Accademia di Stoccolma -. Ma il comitato del Nobel non è d'accordo con me. Ci giudicano provinciali. Provinciali saranno loro». Finendo per fare, al netto del suo talento assoluto, la figura del provinciale.
Eduard Limonov. Dove i destini reali e quelli fantastici s'incrociano
Limonov, chi era costui? Un poeta, un dissidente, un bolscevico, un personaggio di Solzhenicyn, un bandito, un attore, un cantante rock, un campione di scacchi? No, è il protagonista di un libro. Turghenev, Tolstoj, Dostoevskij? No, no. Ma si può arrestare un personaggio di fiction? Difficile. Eppure.
Chi si ricorderebbe di Eduard Limonov se non fosse uscito il libro di Emmanuel Carrère? Eppure il vecchio Limonov è tuttora lì, in carne e ossa, dentro la sua storia e la storia della Russia eterna, imperscrutabile enigma circondata dal mistero, inenarrabile crogiuolo di storie e di dolori, inarrestabile flusso romanzesco.
Strade Blu di William Least Heat-Moon
Ai viaggi on the road per il continente americano siamo forse già tutti letterariamente e cinematograficamente abituati. Tuttavia ci sono ancora percorsi sconosciuti, territori inesplorati e viaggi del tutto inediti. Strade Blue (nell’originale Blue Highways. A Journey into America) di William Least Heat-Moon è uno di questi.
Pubblicato ormai nel lontano 1982 è un libro che però si colloca in un’altra temporalità, una sorta di storicità parallela, il che lo rende un libro sempre attuale.
La storia di quell’America in cui l’autore viaggia e di cui parla infatti è quella di un’umanità senza tempo o comunque in un rapporto molto particolare con il tempo storico.
Grossman. La cognizione del dolore
di Elena Lowenthal
La lingua ebraica ha un ricco lessico del dolore, possiede diverse parole per dirlo, ognuna ricca di sfumature. Ha, in particolare, un vocabolario del lutto affatto ignoto all’italiano: conosce parole per dire la partecipazione alla perdita, scandire con precisione i riti e i momenti che la accompagnano. Contiene, naturalmente, un termine per indicare l’orfanità ma ne conta anche un altro che al confronto con l’italiano spiazza, costringe ad ardue perifrasi: l’ebraico, infatti, ha una parola per indicare il genitore che ha perso un figlio.