Rema arriva a casa, ma suo marito, Leo Liebenstein (uno psichiatra newyorchese) è convinto che quella donna non sia sua moglie. Fisicamente è identica in tutto e per tutto alla donna che ha sposato, ma Leo dentro sente che la sua Rema non è lei.
Leo non si lascia ingannare e risponde alle domande della donna chiedendosi al tempo stesso dove sia veramente finita Rema (per lui quella donna è un simulacro, un surrogato di Rema). Mentre i sospetti si fanno sempre più ossessivi, comincia a spiarla alla ricerca di un qualsiasi indizio che possa smascherarla e aiutarlo a scoprire dove in realtà si trova la sua vera moglie.
Effetti collaterali dell’amore quando finisce


“2.666“, capolavoro postumo dello scrittore cileno Roberto Bolaño, si presenta come una compilation di pezzi di varia lunghezza. E’ però un’opera “sinfonica” in cui Bolaño non racconta una storia coerente, ma è più interessato alla ricerca e allo sviluppo di temi. 
Ogni libro di Ian McEwan è una lettura obbligata, se non altro per godere della sua notevole capacità narrativa. “Solar” è di sicuro un buon romanzo, ma, secondo il mio punto di vista, non è affatto un grande romanzo.
“Gelide scene d’inverno” è uno di quei libri difficili da descrivere. L’ho letto più volte, ma ci trovo delle cose nuove ogni volta che lo riprendo in mano. 
Perché “la carta e il territorio”? Perché la carta è più interessante (e più ricca di vita) del territorio è la lampante rivelazione di Martin Jed, l’artista protagonista del nuovo romanzo di Michel Houellebecq, Premio Goncourt 2010. 
La scrittura di Barthelme (“scrivi di ciò che hai paura” diceva spesso quando era docente di scrittura creativa presso l’Università del Texas) è stata spesso paragonata a quella di Barth, Pynchon, Vonnegut…
“Ruggine americana” di Philipp Meyer è un laconico, spesso agghiacciante ritratto della vita americana. Un romanzo sul sogno americano perduto e sulla disperazione per la sua perdita, una storia piena di speranza dolente in cui si avverte forte un profondo rispetto per la lotta e il coraggio così necessari per andare avanti.
Come Paul Auster si svegliò una mattina da sogni inquieti e si trovò trasformato in un cane… sembrerebbe (ma non lo è) l’incipit giusto per un racconto come “Timbuctú“, una storia apparentemente semplice narrata dal punto di vista di un cane.
Quando ho sentito nominare per la prima volta Haruki Murakami è stato per il libro “Norwegian Wood” di cui parecchie persone mi avevano raccontato.