La corrispondente riluttante. I principali problemi che si pongono per i nuovi social media riguardano la loro affidabilità e la capacità di approfondimento e di …
Parole nuove per BookAvenue: Silvia Bertolotti

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La corrispondente riluttante. I principali problemi che si pongono per i nuovi social media riguardano la loro affidabilità e la capacità di approfondimento e di …
“Chissà chissà domani, su che cosa metteremo le mani”
E’ ancora forte la commozione per l’improvvisa scomparsa di Lucio Dalla, ma questa sua frase offre a chi scrive un sentiero da percorrere per capire “cosa sarà”.
Con uno stile che cerca di ricordare, almeno da lontano, quello del vivace e attuale Edmondo Berselli, si vuole, con queste righe, tornare a parlare di Paolo Sylos Labini e delle sue immense qualità che emergono giornalmente quando si tenta di dare una spiegazione agli eventi presenti e futuri.
In questa disamina, vengono in soccorso, come fiaccole nel buio, le parole di Giorgio Ruffolo che spesso con frasi immediate riesce a dare enormi spunti per capire “gli anni che verranno” sulla base di quanto ci ha insegnato il maestro che qui si ricorda.
I centri urbani rappresentano un “banco di prova” importante per verificare le potenzialità dei processi di valorizzazione della Cultura, in termini di miglioramento della qualità della vita dei cittadini, rafforzamento degli elementi di identità e coesione sociale in tempi in cui la crisi economica accresce le divisioni e i contrasti sociali con l’obiettivo dell’ incremento del potenziale “attrattivo” per un ritorno concreto in termini economici e di benessere anche oltre il concetto tradizionale di PIL. La Cultura, infatti, rappresenta per la Città un elemento imprescindibile di sviluppo e crescita perché, conferendole un elemento di specializzazione ed identità forte, la rende in grado di proteggersi dal pericolo della competitività e crearsi una rendita di posizione ben consolidata.
Cos’ è se vi pare. Il dado è tratto. Obtorto collo.
Mario Monti ha detto no. Le Olimpiadi a Roma non si faranno. Per la verità Monti non ha deciso di non fare le Olimpiadi, ma non ha firmato la “fidejussione” per garantire la candidatura di Roma. Ha fatto bene? Ha fatto male? Chissà. Il tempo aiuterà a capire le cose. Certo è che l’Italia non se la passa bene e l’esperienza consolidata di anni di sperperi e di opere incompiute, a fronte di stratosferici stanziamenti, avrà convinto il premier dell’austerity a non allargare la cinghia in questo momento di risparmio in ogni dove.
La “lotta greco- romana” non ha permesso di correre rischi. Un” salto triplo” nel buio non avrebbe permesso la “maratona” per arrivare a superare la selezione. Ora inizierà il “tiro a segno” sulle responsabilità con una “lotta libera” tra chi voleva le olimpiadi agendo con grinta da “pugilato” e tra chi non le voleva (con motivazioni evidenti) che risponderanno con la precisione tecnica della “scherma”.
La pubblicazione del libro della Fondazione ASTRID, “Istruzione e bene comune idee per la scuola di domani” a cura di Franco Bassanini e Vittorio Campione, edito da Passigli, è come si dice alla fine della introduzione al volume, “un contributo alla discussione aperta”in tema di innovazione del sistema educativo, formativo e professionale per perseguire il principio costituzionale di “Istruzione come bene comune”, un contributo autorevole, critico, propositivo aperto al confronto libero e alla logica bipartisan.
C’è un bellissimo e significativo articolo di Giorgio Ruffolo, dedicato a Federico Caffè nato il 6 gennaio 1914 scomparso e mai più ritrovato.
“Siamo sicuri che questo rigore che spietatamente cade sulla povera gente sia un investimento per l’equità di domani, e non un premio all’ingiustizia di ieri e di oggi” Una frase illuminante non scritta di questi tempi, ma agli inizi del 1997. Sotto accusa, di questa frase di Ruffolo è la Politica del Rigore. Lo scritto in questione è “Federico Caffè L’Ultima Utopia” che in poche battute descrive la “presenza” di Federico Caffè nel panorama intellettuale italiano che godeva di grande prestigio ed esercitava notevole fascino sugli studenti e su molti appassionati. Dice ancora Ruffolo, Utopia: una parola che a Caffè piaceva. Lui conosceva perfettamente il testo di Tommaso Moro: in cui a rileggerlo bene, si trova insieme con qualche stravaganza, non il profilo di una società impossibile, ma il calco profetico dello Stato del Benessere. Di una ricchezza redistribuita.
Molti mesi fa ho rilasciato una breve intervista al Corriere della Sera (che però è uscita adesso) a proposito degli stereotipi femminili veicolati nelle fiabe e negli altri atti narrativi rivolti all’infanzia. Ave Mary era uscito da poco e il tema della demistificazione dell’immaginario era caldo anche socialmente, sull’onda lunga di Se non ora quando e del lavoro capillare nelle scuole e sul web di Lorella Zanardo, Loredana Lipperini, Michela Marzano e decine di altre blogger, giornaliste e intellettuali impegnate sul tema. Lo spunto dell’intervista era apparentemente superficiale – l’annuncio dell’uscita di due rivisitazioni cinematografiche su Biancaneve – ma proprio per questo ho risposto volentieri.
Con Max Weber per la prima volta la città ed i fattori che compongono la realtà sociale urbana ricevono una sistemazione teorica attraverso la costruzione di una tipologia ideale delle città, basata sulla individuazione delle funzioni prevalenti. Punto di partenza della riflessione di Weber sull’argomento è la considerazione che la città costituisce in ogni civiltà il motore del divenire storico. Superando le teorie elaborate durante il corso dell’800 Weber giunse alla conclusione che tra le istituzioni urbane esiste una interrelazione che non consente di elaborare una teoria della città’ partendo dall’isolamento di una o più di esse. Di città hanno parlato altri studiosi agli antipodi della città cibernetica. E’ difficile tornare alle origini quando la città diventa presidio del futuro, ma il senso delle cose si conserva nelle cose stesse ed in fondo la città rimane un luogo da abitare, da vivere e dal quale ripartire. L’uomo e il filosofo si sono sempre interrogati sul concetto di città e il modo di viverla. Diventare Città è un passo importante poiché le radici sono state riconosciute meritevoli di quel salto di qualità che distingue una storia locale fatta di tanti tasselli, di tanti uomini che nel tempo hanno reso migliore e “speciale” un territorio.
“Per troppo tempo siamo stati non dei civis ma dei meteci, dei mezzi cittadini che si limitavano a lavorare e pagare le tasse (o a evaderle), ma non sceglievamo i governanti. Ci eravamo autoesclusi dalla partecipazione poltica”. Queste parole sono di Ornaghi e Parsi in una intervista del 1994 al Corriere della Sera a seguito dell’uscita del loro libro ben scritto “La virtù dei migliori”.
Quasi vent’anni dopo la questione è ancora attuale. Nel frattempo Ornaghi è diventato Ministro di un Governo tecnico, dopo la manifesta incapacità dell’attuale “classe” politica che non rappresenta più nessuno e non ha più rappresentanti dei “cittadini” a seguito della frattura sociale provocata da anni di privilegi e arroccamenti.