(Dal risvolto di copertina)
“Nei due decenni successivi alla rivoluzione di Khomeini, mentre le strade e i campus di Teheran erano teatro di violenze tremende, Azar Nafisi ha dovuto cimentarsi in un’impresa fra le più ardue, e cioè spiegare a ragazzi e ragazze esposti in misura crescente alla catechesi islamica una delle più temibili incarnazioni dell’Occidente: la sua letteratura. Il risultato è uno dei più toccanti atti d’amore per la letteratura mai professati – e insieme una magnifica beffa giocata a chiunque tenti di interdirla.”
Quando nel 1979 in Iran avvenne la a cosiddetta rivoluzione islamica che depose lo scià e collocò al potere l’ayatollah Khomeini, ero poco più che una bambina quando, avevo 12 anni e cominciavo a scoprire che il mondo non era rosa come lo avevo immaginato fino ad allora. Rimasi turbata vedendo scorrere al telegiornale le vicende che coinvolsero quel paese sia perchè, per la prima volta, coglievo il binomio islam-politica, sia perchè la mia sensibilità ed il mio idealismo di ragazzina cresciuta in un ambiente familiare in cui le donne erano molto emancipate, furono estremamente toccati nel vedere quali pesanti restrizioni subì la libertà delle iraniane in quegli anni.
Leggere oggi il libro della Nafisi mi ha chiarito molte idee su ciò che accadde allora, sulle vicende che io percepivo molto filtrate attraverso i tg o i commenti dei miei genitori. Soprattutto perchè si tratta del racconto di chi ha vissuto in prima persona la rivoluzione islamica, trovandosi oltretutto nello scomodissimo ruolo di donna e di intellettuale in una realtà in cui proprio queste due categorie di persone erano le più colpite dalla repressione.
Un racconto, quello della Nafisi, reso ancora più efficace dall’idea di abbinare ai vari momenti in cui è suddiviso il libro altrettanti titoli di classici della letteratura americana moderna, gli stessi che la scrittrice e docente analizzava, in un primo tempo, durante i suoi corsi universitari e, dopo quando l’insegnamento in Iran era diventato per lei intollerabile, durante il “seminario carbonaro” che tenne a casa propria con sette allieve selezionatissime fino al 1993, anno in cui lasciò definitivamente l’Iran per vivere in esilio negli USA.