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I Florio

“Cu nesci, arrinesci”. “Chi esce, riesce”. I leoni di Sicilia. La saga dei Florio, Stefania Auci, trama, recensioneQuesto proverbio siciliano racchiude tutta la lungimiranza dei protagonisti della saga famigliare raccontata da Stefania Auci nel suo ultimo romanzo I leoni di Sicilia. La saga dei Florio, divenuto ben presto caso editoriale internazionale. Venduto in Francia, Germania, Olanda, Spagna e Stati Uniti e opzionato per una serie televisiva.

In seguito all’ennesima scossa di terremoto che nel 1799 aveva colpito Bagnara Calabra, i fratelli Paolo e Ignazio Florio decidono di trasferirsi con tutta la famiglia a Palermo, a quel tempo uno dei maggiori porti del Mediterraneo. Stabilirsi nel capoluogo siciliano significava entrare in contatto con una piazza vivace, ricca e piena di opportunità, soprattutto in seguito all’arrivo dei Borbone. E quest’aria di cambiamento Paolo Florio l’aveva ben intuita.

Se il premio Strega è affare di uomini.

Durante la cerimonia di consegna del Premio Strega, il più importante premio letterario italiano, il conduttore Giorgio Zanchini ha concluso l’incontro con la scrittrice Valeria Parrella, finalista del premio, dicendo che subito dopo avrebbe parlato di com’è cambiata la condizione femminile dopo il #metoo, il movimento nato nel 2017 in cui donne da tutto il mondo condividevano sui social le loro esperienze di molestie e aggressioni.

Zanchini aveva insistito che la stessa Parrella avrebbe potuto parlare a lungo di questo tema, e forse anche per questo Parrella ha risposto: «E lei ne vuole parlare con Augias? Auguri!». La sua risposta è sembrata anche sottolineare come fosse opportuno parlare di quell’argomento coinvolgendo almeno una donna. La scena è stata molto condivisa e commentata sui social network, diventando il momento della cerimonia di cui si è parlato di più.

Un paese al crepuscolo

Tralummescuro è il momento di passaggio tra il giorno e la sera, tra la luce e il buio; il termine indica questo istante di incertezza. Come pregna di incertezza, in questo caso geografica, è la Pavana di Guccini, indecisa se essere Toscana o Emilia. Confine geografico (un tempo vi era la dogana tra Granducato di Toscana e Stato Pontificio)  e culturale, territorio ambivalente, a cavallo tra le due regioni nel cibo e nella lingua.

Il linguaggio è parte fondamentale del libro, l’autore utilizza un registro linguistico molto particolare nel quale il dialetto locale è mescolato all’italiano colto, talvolta tecnico, in una struttura lessicale unica; qui spunta l’anima del Guccini linguista che illustra le varianti lessicali nell’arco di pochi chilometri lungo il crinale appenninico. Le spiegazioni linguistiche sono inserite all’interno di un racconto nostalgico; come per le tigelle: rammentando le occasioni in cui venivano cotte chiarisce che si tratta di una sineddoche, perché la pietanza assume il nome del recipiente in cui viene cotta.

Orario!

Sono in cassa e squilla il telefono, la modulazione dello squillo suggerisce che si tratta di una telefonata interna. Mi aspetto un collega della libreria che mi chieda qualche delucidazione.
Invece no.
“Orario!” afferma una voce dall’altro capo del filo. Non è un collega della libreria; l’accento romano-pugliese e l’affermazione non lasciano alcun dubbio: Michele da Roma.
Mi ricorda che gli devo una recensione.
Ma poi non sono così sicuro di avergliela promessa, ma lui è convinto di sì e si fa prima a scrivere una  recensione che distoglierlo dalle sue convinzioni.

trekking, foto di uomo al tramonto su sentiero di montagna

Wanderlust. Una storia di piedi

Sono certo vi sia capitato chiedervi al termine di una giornata terribile con le gambe doloranti e i piedi a pezzi, come è accaduto di infilarvi in una terribile maratona tra uffici, servizi, cose da fare e comprare senza sosta fino all’ora del rientro.  Come diavolo avete fatto a sopravvivere ai chilometri percorsi quando avreste più comodamente potuto prendere l’auto e stancarvi di meno.
A volte, invece, accade il contrario. Capita, cioè, che vi chiediate cosa state combinando al chiuso dell’auto bloccati nel traffico e perché, ancora, diavolo non siete usciti a piedi magari utilizzando la metropolitana e profittarne per fare due passi.

Il mio nome è Chuck e mi lavo spesso

La mia definizione di sporco e la vostra definizione di sporco probabilmente sono molto diverse. Voi vi lavate le mani dopo aver mangiato il pollo o dopo aver fatto la cacca. Io devo lavarmele dopo aver toccato un animale, un bambino, una cassetta delle lettere, un pulsante dell’ascensore, i soldi – le monete soprattutto -, le mani degli altri, qualsiasi cibo – sale, pepe e condimenti compresi – e qualsiasi cosa io consideri «della natura» – erba, terra, legno e così via.Mi lavo le mani un botto di volte.Spesso è l’unica cosa a cui riesco a pensare.

La psichiatria sulla pelle dei bambini

«Avevo tre anni quando un’assistente sociale mi portò a Villa Azzurra che di quel colore non aveva proprio nulla. Ci finii perché quella buona donna di mia mamma mi aveva avuto da un uomo che della paternità se ne infischiò allegramente, non l’ho mai incontrato. Lei era giovane e sola».

Comincia così – con una storia terribilmente simile a molte altre – questo libro scritto per non dimenticare; per ricordare a chi è vissuto al tempo dei manicomi e per informare chi non c’era. Ma scritto anche per smontare l’illusione che oggi la fabbrica della follia sia altro da quanto era in passato: fenomeno di massa, fenomeno di poveri, manicomi (o realtà troppo simili) come discariche umane e sociali.

foto autore

Un de profundis contemporaneo

foto autoreL’autrice.
Fiona Maazel è nata nel 1975. Nel 2005 ha vinto il Lannan Foundation fiction fellow. Vive a Brooklyn NY. Questo, è il suo romanzo di esordio.

Il Libro.
Come per il titolo di Oscar Wilde per la sua memoria di disonore e imprigionamento, così nella estensione contemporanea per una disperazione equivalente, “Last last chance”(ultima ultima probabilità) avrebbe potuto pure essere intitolato allo stesso modo.
Salto al primo capitolo. Il romanzo di debutto di Fiona Maazel tenta una visione apocalittica e raddoppiata dei nostri periodi (americani). La relativa funzione esterna è simbolizzata da un virus tipo Ebola- la peste- sparsa dai terroristi che la rubano da un laboratorio di governo.

Eduard Limonov. Dove i destini reali e quelli fantastici s’incrociano

Limonov, chi era costui? Un poeta, un dissidente, un bolscevico, un personaggio di Solzhenicyn, un bandito, un attore, un cantante rock, un campione di scacchi? No, è il protagonista di un libro. Turghenev, Tolstoj, Dostoevskij? No, no. Ma si può arrestare un personaggio di fiction? Difficile. Eppure.

Chi si ricorderebbe di Eduard Limonov se non fosse uscito il libro di Emmanuel Carrère? Eppure il vecchio Limonov è tuttora lì, in carne e ossa, dentro la sua storia e la storia della Russia eterna, imperscrutabile enigma circondata dal mistero, inenarrabile crogiuolo di storie e di dolori, inarrestabile flusso romanzesco.