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Cuore di questa saga epica, l’Ibis, un veliero che, negli anni Quaranta del XIX secolo, solca le acque tumultuose dell’Oceano Indiano per combattere la Guerra dell’Oppio, il conflitto che, con il trattato di Nanchino, sancì la definitiva espansione dell’Impero britannico nel mercati d’Oltremare e che fu scatenato dalla Compagnia inglese delle indie Orientali per rovesciare lo squilibrio della bilancia dei pagamenti tra Gran Bretagna e Cina, favorevole decisamente in quegli anni a quest’ultima.
Nel suo avventuroso viaggio, l’Ibis reca a bordo un’umanità davvero straordinaria: marinai, clandestini, braccianti, galeotti, un Maharaja in rovina, una vedova sfuggita alle dure costrizioni del suo clan, uno schiavo americano liberato, un orfano europeo dallo spirito libero. A mano a mano che i legami con le origini si affievoliscono, e i contorni delle vite precedenti sbiadiscono, i passeggeri e i membri dell’equipaggio cominciano a considerare sé stessi jahaj-bhais, “fratelli di navigazione”.
È il marzo del 1838 e la Ibis, una magnifica goletta a due alberi che, con la vela di maestra e le vele di prora ben tese sembra un uccello dalle grandi ali bianche, è appena arrivata al largo dell’isola di Ganga-Sagar dove il Gange sfocia nel Golfo del Bengala. Dalla nave si scorgono soltanto le sponde fangose dell’isola e i boschi di mangrovie, ma all’interno entrambe le rive del sacro fiume sono già coperte, per chilometri e chilometri, da folte distese di petali rossi, campi sterminati di papaveri. Per quei petali la Ibis è lì, alla foce del Gange, destinata dalla «Benjamin Brightwell Burnham», la compagnia inglese proprietaria, a uno dei traffici più lucrosi dell’Impero britannico: il commercio di «delinquenti e stupefacenti» o, secondo una più elegante espressione, di «oppio e coolie».
Il momento, infatti, è eccellente per partecipare alle aste d’oppio della Compagnia delle Indie orientali e al trasporto di predoni, briganti, criminali, ribelli, cacciatori di teste e teppisti d’ogni razza e genere sulle varie isole-prigione dell’Impero sparse nell’Oceano Indiano.
A bordo della Ibis vi è la ciurma più incredibile che si possa incontrare in tutte le acque del Pacifico: un gruppo di lascari, i leggendari marinai cinesi e africani, arabi e malesi, bengalesi e tamil, insomma appartenenti a tutte le razze possibili e immaginabili, che parlano un lingua tutta loro, non hanno altro abito che una striscia di cambrì da avvolgere intorno ai fianchi e vanno in giro scalzi da quando sono nati. A guidarli è un personaggio dall’aspetto formidabile, con una faccia che susciterebbe l’invidia di Gengis Khan: magra, lunga e sottile, con occhi irrequieti e un paio di baffi piumati che gli scendono fino al mento.
Nel suo avventuroso viaggio, la Ibis reca a bordo un’umanità davvero straordinaria: il figlio di una schiava liberata del Maryland dalla carnagione color avorio antico; un raja in rovina, il cui viso lungo, scarno e triste esprime esemplarmente il tramonto della vecchia India; una vedova dagli occhi privi di colore che non esita a infrangere i sacri riti della tradizione hindu; un uomo che vuole erigere un tempio alla donna che ha amato e che rivive ora in lui …
Mano a mano che i legami con le origini si affievoliscono e i contorni delle vite precedenti sbiadiscono, tutti, sulla Ibis, equipaggio e passeggeri, cominciano a sentirsi «fratelli di navigazione», uniti da una comunanza che oltrepassa continenti, razze e generazioni.
Primo libro di una trilogia dedicata alla nascita dell’India moderna, il paese sorto, appunto, da una delle piú straordinarie mescolanze di etnie e culture, Mare di papaveri si annuncia come il primo tassello dell’opera della vita di Amitav Ghosh, un’opera che, per forza e ambizione, può rappresentare per l’India moderna quello che libri come Moby Dick hanno rappresentato per l’America: la simbolica narrazione dell’origine di una civiltà nuova sorta dall’incontro-scontro di mondi opposti.
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per BookAvenue, Fabrizio Fides
Il Libro:
Amitav Ghosh
Mare di papaveri
Neri Pozza
Trilogia dell’Ibis, Vol.1
ed. 2011, pp.503.
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