Aldo Nove, Mi chiamo Roberta ho 40 anni…

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Una dedica ai 70 anni di Balestrini, poi l’autore di Puerto Plata Market e de La più grande balena morta della Lombardia pone domande, registra, introduce brevemente le voci di Roberta, Alessandra, Domenico, Riccardo e degli altri protagonisti, rinunciando alla presenza ingombrante del romanziere. Il risultato è, senza mezzi termini, un potente calcio nel didietro a chi si è arrogato l’immorale diritto di svuotare questo Paese di realtà propugnando inesistenti, irrealizzabili “miracoli italiani”. Svuotare, cioè erodere fino a fare il vuoto. E in quel vuoto tremendo, adesso, ci siamo più o meno tutti: i figli che hanno concluso gli studi grazie ai sacrifici dei genitori, le famiglie che guardano a noi con apprensione, se non proprio con motivata angoscia.

“Mi terrorizza la filosofia di fondo oggi dominante” dice Marco, ex commesso in un negozio di abbigliamento, ex venditore di libri porta a porta, ex notificatore catapultato per necessità da Napoli al Nord leghista, berlusconiano, intriso di pregiudizi e meschinità dure da sradicare. “Un eterno presente immutabile. Un presente di insicurezze e soddisfazioni immediate. Attraverso la droga della televisione, che ne trasmette le virtù oppiacee.” In fabbrica, i colleghi parlano solo di calcio, motori e televisione. In fabbrica si avallano le ruberie dei padroni e dei politici e Berlusconi è un modello positivo da imitare, “Berlusconi incarna l’italiano furbo che ha fregato tutti!”.

Dalla storia di Marco campiono un’altra riflessione non meno disarmante, riservata all’attività politica: “A fare carriera, anche nella sinistra, sono quasi sempre i quadri di partito. I nullafacenti. I ragazzini figli di papà iscritti da dodici anni all’università. (…) Se, come molte persone che conosco, lavori quattordici ore al giorno per tirare avanti senza nessuna prospettiva a medio o lungo termine, e non trovi neanche il tempo per fare l’amore con la tua fidanzata, come fai a occuparti di politica?”

L’inchiesta di Nove dà voce a una maggioranza di non integrati, di persone autentiche che ogni giorno si sbattono, arrancano, sopravvivono male, anzi malissimo, all’interno di un sistema impazzito. Dà voce a Domenico, pastore della Sardegna con moglie e figli a carico che spiega il nesso tra l’incremento delle rapine e la disperazione di chi non ce la fa più a tirare avanti. In Sardegna, sull’isola dei villaggi turistici per Vip “(…) dove i sardi non possono neanche entrare, se non come lavapiatti per tre mesi d’estate.”

Chi fa lo stagista, chi è passato e sta psaando attraverso il cappio delle agenzie interinali, chi ha una laurea in materie umanistiche e ha collaborato con redazioni di giornali, case editrici, biblioteche, senza ricevere in cambio un minimo di stabilità. Job on call. Tempo in affitto. Vite a nolo (e a prezzi da fame). Schiavi senza un soldo in tasca. «L’Italia ha un problema di cui non parla», recitava il titolo di un articolo di Elisabetta Povoledo sull’International Herald Tribune del 5 aprile scorso. I bilanci sono brucianti, gli interrogativi senza risposta mettono al tappeto. Come si fa a prendere in affitto un monolocale o anche solo una cameretta in città come Roma o Milano se hai un contratto di collaborazione a progetto e percepisci 6,50 euro lordi l’ora in un call center? Come fai a desiderare un figlio a quarant’anni se le statistiche dicono che per crescere un bambino ci vogliono 230.000 euro?

Nessuna protezione. Sicurezza zero. Tutte le vie d’uscita sbarrate. Siamo in tanti a svegliarci, prendere un caffè, aspettare l’autobus alla fermata con gli stessi pensieri di Roberta: “Ti rendi conto giorno per giorno che la tua laurea, i tuoi decenni di esperienza non hanno nessun valore contrattuale, che sul piano del lavoro non sei niente.”

copertinaAldo Nove
Mi chiamo Roberta, ho 40 anni…
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