Una fiaba sudanese narra di quattro animali – un leone, una iena, un serpente e un ghepardo – che un tempo dividevano una capanna in un piccolo villaggio. Vivevano in perfetta armonia, finché non decisero che avevano bisogno di regole per garantire un maggiore rispetto reciproco. Così fecero una riunione in cui si chiese a ciascuno di illustrare agli altri i propri desideri.
Il primo a parlare fu il serpente. «Sono lieto di informarvi che non ho problemi con nessuno» disse. «Ma dato che la comprensione tra noi è importante, vi dirò che l’unica cosa che odio è essere toccato, anche per sbaglio. Se qualcuno mi tocca, sarò in guerra con lui.»
Poi fu il turno del leone, che disse: «Anch’io sono contento di far parte di questa comunità, e voi potete fare tutto quello che volete, ma c’è una cosa sola che non sopporto ed è il chiasso. Se qualcuno fa rumore, chiunque sia, lo punirò».
«Io non ho niente da aggiungere,» fece il ghepardo «se non che la cosa che detesto più di ogni altra è incrociare lo sguardo di un altro. Quindi non azzardatevi a guardarmi mai negli occhi o saranno guai!»
Infine fu la volta della iena. «Prometto di rispettare le regole che avete proposto a salvaguardia dei vostri diritti in quanto liberi membri di questa comunità» dichiarò. «Mi vanno bene. Ora vi detto le mie: io torno sempre a casa tardi, e non amo che qualcuno mi domandi dove sono stato o cosa ho fatto. È tutto ciò che vi chiedo.»
La riunione si chiuse amichevolmente con tutti gli animali concordi nel fissare quelle regole e nel rispettare i diritti dei propri fratelli.
Poi, una notte, la iena andò a caccia e tornò a casa zoppicando alle ore piccole, ululando e ridendo come tutte le iene, mentre gli altri membri della comunità dormivano tranquillamente nei loro cantucci. Stava cercando a tentoni il suo letto, lamentandosi dei dolori alle articolazioni dopo la lunga camminata, quando il leone si svegliò. «Cos’è questo rumore?» ruggì. «Che stai facendo? Dove sei stato tutta la notte? Chi ti ha dato il diritto di disturbarci a quest’ora?»
«Come osi farmi delle domande?» ribatté la iena furiosa. «Non è affar tuo sapere dove sono stato e cosa ho fatto! Sta’ lontano da me!»
Il leone si alzò brontolando, ma la iena era decisa a difendere i propri diritti e, lottando accanitamente, i due animali finirono addosso al serpente che dormiva nel suo angolo. Il serpente si tirò su e morse entrambi i contendenti.
Al mattino, quando il ghepardo si alzò, i tre stavano ancora litigando, finché di colpo si resero conto che avevano a disposizione una soluzione conveniente: il ghepardo non era coinvolto e poteva fare da arbitro!
Furono avviati i negoziati di pace. Il leone, il serpente e la iena espressero le proprie lamentele. Il ghepardo stava per parlare, quando vide che gli altri tre lo fissavano speranzosi, in attesa di udire il suo verdetto. «Perché mi guardate tutti quanti?» esplose. «Vi avevo ben detto di non fissarmi!»
Così la rissa riprese coinvolgendo anche il giudice, e ogni animale continuò a lottare per i propri diritti finché, dopo un bel po’, i contendenti esausti si rifugiarono in luoghi distinti della foresta, in cerca di riparo e protezione.
Fu così che il leone, il ghepardo, il serpente e la iena finirono per vivere in villaggi separati. Leggi e negoziati avevano reso impossibile per loro vivere insieme in pace.
È una terra dilaniata dalla guerra, il Sudan. Una guerra civile, durata per circa trent’anni, che ha opposto il Sudan del Nord al Sudan del Sud. Un Sudan del Sud che, proprio nel luglio di quest’anno, è diventato uno Stato indipendente, teoricamente mettendo fine a un conflitto che ha causato milioni di morti e una moltitudine di profughi. “Teoricamente”, sì, perché in Sudan rimane irrisolta la crisi del Darfur, altra gravissima guerra il cui risultato sono morti e profughi e sulla cui fine, stanti le condizioni attuali, non è dato sperare.
È proprio a causa della guerra civile che Aher Arop Bol, bambino sudanese di quattro o cinque anni, viene caricato sulle spalle dal proprio zio per essere portato in una località più sicura. Insieme allo zio e ai propri cugini, Aher percorre molta strada e incontra moltissime persone – profughi come lui – disperate e abbandonate a se stesse. Molti di questi sono coloro che vengono definiti “bambini perduti”: orfani oppure bambini che, come Aher, pur non essendo orfani viaggiano soli perché si sono allontanati dalla famiglia o ne sono stati separati.
Durante i suoi incessanti spostamenti, Aher deve imparare a badare a se stesso e deve cercare di sopravvivere alla fame e alle malattie. Nonostante le gravi problematiche di sopravvivenza, Aher ha un unico e grandissimo desiderio: continuare a studiare. Viaggia per migliaia di chilometri e per molto tempo e si sposta di stato in stato, cercando di evitare le milizie sudanesi che potrebbero cercare di rimpatriarlo. Si affida alle organizzazioni umanitarie e alla diplomazia sudanese di stanza negli stati limitrofi, spesso incassando delusioni o subendo danni.
Ma conosce anche il valore della solidarietà umana e della vera generosità; impara che molte persone sanno donare senza aspettarsi di ricevere nulla in cambio e senza pretendere la restituzione di quanto offerto. Che ci sono molte più persone disponibili ad offrire aiuto, a mettere a repentaglio la propria sicurezza a favore del prossimo, di quelle che oppongono la propria indifferenza e il proprio egoismo.
Un genere di generosità e di solidarietà ben diverso da quello che noi conosciamo ma, grazie al quale, Aher riuscirà a ottenere quello che più desidera: il suo posto nel mondo.
per BookAvenue, Paola Mattiazzo