A passi incerti: intervista a Grazia Frisina

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   Tempo di lettura: 9 minuti

copertinaRacconta una vicenda delicata e allo stesso tempo dura, difficile A passi incerti (Mauro Pagliai Editore, 2009), il primo romanzo di Grazia Frisina che ha come protagonista Emilia, giovane affetta da SLA. A causa della malattia Emilia è confinata su una sedia a rotelle e si è autosegregata in casa perchè il contatto col mondo esterno la spaventa, la infastidisce. In realtà è completamente autosufficente ma gli sguardi pietosi della gente sono per lei un ostacolo ben più invalicabile dei marciapiedi malridotti e degli scalini. Il suo mondo così è circoscritto alla madre e alla sorella – che spesso fanno da parafulmine ai suoi malumori – e a qualche raro amico. Unico sfogo, unica passione che la coinvolge e la sprona è la poesia: inizialmente scrive solo per sè, poi pian piano imparerà a condividere i suoi versi anche con gli altri. E proprio grazie alla poesia troverà la strada per uscire dalla sua gabbia dorata, per smettere di indugiare nell’autocommiserazione, per aprirsi agli altri.

La protagonista del tuo romanzo è affetta da una malattia invalidante, ma riesci a raccontare la storia di Emilia senza facili stereotipi e buonismi, presentandola con i suoi pregi e con i suoi tanti difetti. Mettendo in evidenza che a volte la malattia rende malevoli con chi ci sta intorno e ci vuole bene. Insomma dando vita ad un personaggio estremamente umano e per questo nè completamente positivo nè completamente negativo. Come è nata l’idea di questa storia? Avevi un semplice intento narrativo oppure volevi anche lasciare un messaggio?

La materia di un romanzo generalmente prende l’avvio dall’osservazione della realtà, da qualcosa che comunque ha toccato, in maniera diretta o indiretta, la nostra attenzione e la nostra sensibilità. Sarà poi l’immaginazione, la visione delle cose di chi scrive a plasmarla e a trasformarla in parole, in una commistione di vissuti e percezioni. La disabilità, qual è appunto uno dei temi della storia da me narrata, è un territorio in cui
spesso mi sono imbattuta, avendolo esplorato assai da vicino.
A passi incerti è una storia di disincanto ma anche di rinascita. Altre opere di grandi autori (cfr Nati due volte di Giuseppe Pontiggia) hanno trattato il tema dell’handicap e del dolore, che da esperienza di lacerazione può trasformarsi in un viaggio edificante, in un’occasione di conoscenza di sè, non solo della propria fragilità ma anche delle energie più intime, costituendo così una sfida, una forza propultrice attraverso la quale trovare forme di affrancamento e di realizzazione personale. Non è banale affermare che chi ha un handicap racchiude in sè delle abilità. L’importante è creare le condizioni affinchè queste vengano scovate e aiutate a  emergere. E gli esempi a tale proposito sono moltissimi: si pensi al legame tra disabilità e le varie espressioni artistiche, nella pittura, nella danza, nel teatro, tra disabilità e sport, che testimoniano quanto la diversità possa rappresentare una risorsa, un patrimonio.
Ho voluto raccontare ciò in modo realistico  e, talvolta, in maniera  cruda, così come può quotidianamente presentarsi la vita, senza leziosità o cedimenti sentimentalistici. La condizione esistenziale infatti della protagonista del mio romanzo richiama, per lo meno nella prima parte, a note di profondo pessimismo. L’immobilità, il senso di esclusione, il non poter progettare il futuro condizionano i pensieri, i sentimenti di Emilia, così come sono condizionate le sue azioni e il suo rapporto col mondo estermo e con la famiglia.
Odia l’umanità, considera gli altri, per la loro “normalità”, degli antagonisti,  su cui far pesare la propria infelice diversità. Ma indubbiamente il primo suo nemico è lei stessa, in quanto, dominata da un profondo senso di nichilismo, si preclude ogni possibilità di emozione e di bellezza che la vita, nonostante tutto, può ancora offrire, costruendosi così barriere mentali e affettive, oltre a quelle che la società stessa abitualmente riserva.
Emilia, però, dopo un percorso lungo e doloroso, che sfiora derive autolesioniste, troverà nella magia della parola poetica quella fiamma vitale, così a lungo soffocata e repressa, che darà una svolta alla propria vita, in quanto le aprirà nuovi orizzonti e rappresenterà la spinta per il suo riscatto personale.

Prima di questo romanzo ti eri sempre occupata di poesia: come mai hai deciso di cambiare genere espressivo?

Da sempre mi sono dedicata alla poesia. Solo saltuariamente ho scritto pagine in prosa, che talvolta, quasi per un’urgenza interiore, divenivano versi. Con questo romanzo ho voluto mettermi in gioco, provare un’altra modalità espressiva, più diretta che arrivasse a un pubblico più ampio, dove però la dimensione poetica restasse comunque centrale.
Questa esperienza mi ha permesso di sperimentare concretamente che nella narrazione come nella poesia non esiste improvvisazione, giacchè non esiste scrittura senza tecnica, senza cultura e soprattutto senza tanta lettura. Scrivere è un lavoro di grande umiltà e pazienza che prevede rigore, disciplina e molto, molto tempo.

Sempre parlando di poesia, essa è una parte importante della vita di Emilia, è il suo tramite per comunicare appieno i sentimenti che la animano ma sarà anche il mezzo per riacquisire fiducia in se stessa, per ritrovare un certo equilibrio. E per te quanto è importante la poesia?

Oggi purtroppo la poesia è considerata un oggetto scolastico, da tenere a distanza o da usufruire solo perchè si è obbligati. Credo che invece possa ancora trovare uno spazio significativo tra le persone, persino tra i giovani sempre meno abituati alla riflessione e sempre più incapaci ad esprimersi. La poesia, come tutta la letteratura, li avvicina all’uso nobile della parola e soprattutto li può aiutare a leggere, a interpretare il turbinio di sentimenti e di emozioni a cui spesso non sono in grado di dare forma e parola.
La mia è una necessità, fisica e spirituale, di poesia, di quella letta innanzi tutto e poi di quella scritta. Essa ha su di me un grande potere taumaturgico, perchè è consolazione dell’anima, è soddisfare un pressante bisogno di bellezza. E’ una spinta verticale che ha la capacità di farmi scendere nel profondo del mio essere e di protedermi verso l’alto, a quel richiamo di divino che credo presente in tutti gli uomini.

Nella poesia riveste una grande importanza la musicalità delle parole, il ritmo. Ritieni che sia importante anche nella narrativa?

Il ritmo è senz’altro un elemento costitutitvo della poesia, ogni frammento di un verso deve contenere non solo potere simbolico-evocativo ma anche intensità fonetica-sonora, affinchè la parola diventi per l’orecchio risonanza e musica.
Ma il ritmo è essenziale anche nella narrativa se si vuole dare dinamismo e plasticità al racconto. Quando ci accorgiamo che la lettura diventa una corrente che ci trascina con sè, quando leggendo un romanzo c’è una voglia irrefrenabile d’andare avanti e le vicende ci incalzano coinvolgendoci, quando non riusciamo a sottrarci a un personaggio dentro cui ci siamo calati senza neppure volerlo, ecco che allora avvertiamo in quella storia il battito vitale.
Ciò che però contribuisce a dare ritmo a una storia non è soltanto la storia in sè, ma tutta una serie di accorgimenti che un buon scrittore dovrebbe usare, come la scelta delle parole e delle immagini, la scioltezza della strutturazione dei tempi narrativi e, non ultima, la punteggiatura.

Hai in progetto di scrivere un nuovo romanzo? Se sì puoi darci qualche anticipazione?

Sì, ho assaggiato la prosa e devo confessare che mi è piaciuta, voglio quindi continuare questa esperienza. Avevo in mente di scrivere dei racconti che avessero come filo conduttore il fluire del fiume. Naturalmente non ho abbandonato l’altra mia compagna, la poesia.

 

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Carla Casazza

Carla Casazza ha fatto della scrittura la sua passione e lavoro.
Laureata in Pedagogia a indirizzo storico, ha insegnato per diversi anni.
Ha pubblicato alcuni libri sia di narrativa che di non-fiction.
Vive in Trentino.

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