La spietata ingiustizia sociale della pena capitale, la difficoltà della revisione dei processi e le falle del sistema giudiziario americano sono il nocciolo del nuovo romanzo di John Grisham, Io confesso edito da Mondadori. È una storia dura, quasi priva di speranza e che rimesta nel torbido. Grisham arriva a sostenere che il sistema della giustizia nel suo Paese non funziona, e che «il sistema della giustizia minorile non fa altro che allevare criminali in carriera. La società vuole rinchiudere quei ragazzi e buttare la chiave, ma è troppo stupida per rendersi conto che prima o poi usciranno. E, quando escono, le cose non vanno molto bene…».
Da un po’ Grisham non proponeva una storia degna della sua fama, nonostante non abbia mai perso la sua leadership internazionale di maestro del legal thriller. Un risultato conquistato sul campo con Il momento di uccidere, Il socio, Il rapporto Pelican e La giuria che non a caso si sono trasformarti in film di successo. Titoli più recenti come L’allenatore, Il broker e Il professionista avevano preoccupato i suoi fans più accaniti (nonostante quelli italiani avessero gioito per alcune puntatine nel nostro Paese) e con Il ricatto e L’ultima sentenza Grisham si era sforzato di risalire la china cercando di tornare alla formula che lo aveva contraddistinto fin dagli esordi. D’altra parte lo scrittore è da tempo «insidiato» da colleghi i quali gli danno filo da torcere nel suo stesso campo: D.W. Buffa, Lisa Scottoline, Steve Martini, ma soprattutto Scott Turow (che nel 1987 con Presunto innocente fu l’artefice della rinascita del legal thriller). Inoltre Grisham ha visto crescere alla velocità del fulmine una serie come quella dell’avvocato Mickey Haller ideata da Michael Connelly che ha già proposto titoli adrenalinici come Avvocato di difesa, La lista (entrambi targati Piemme) e The Reversal (per ora inedito in Italia).
Così per concepire Io confesso è corso ai ripari consultandosi, pare, con l’amico Stephen King, ma soprattutto si è fatto aiutare dallo scrittore e avvocato David Dow del Texas Defender Service, oltre che da C.T. O’Reilly, direttore del carcere di Huntsville. E, consapevole che per scrivere un buon thriller bisogna saccheggiare la cronaca nera, ma aiuta anche ispirarsi a un grande classico del noir, Grisham ha attinto all’omonimo Io confesso girato nel 1953 da Alfred Hitchcock (con Montgomery Clift nel ruolo del protagonista), aggiornandone le motivazioni psicologiche. Se nel film Padre Logan rischia di essere incolpato di un omicidio per preservare il segreto della confessione fattagli da un assassino, nel romanzo di Grisham il reverendo Keith Schroeder è costretto a una lotta contro il tempo per far assolvere il condannato alla pena capitale Donté Drumm e deve convincere gli inquirenti che la confessione che gli ha fatto l’ex detenuto Travis Boyette (in libertà vigilata dopo aver scontato una condanna per reati sessuali plurimi) scagiona davvero il giovane di colore condannato ingiustamente per l’omicidio di una donna bianca. Schroeder è un pastore abituato a occuparsi del sociale assieme alla moglie Dana. E non meno sensibile nei confronti delle cause delle classi più povere è l’animoso avvocato Robbie Flak.
Per Flak il caso Drumm è da anni una guerra e lui «si batte come un pazzo» per il proprio cliente, arrivando a fare a pugni con uno degli investigatori che si occupa delle indagini. Per anni ha tormentato le corti d’appello con i suoi ricorsi, spingendosi ai confini dell’etica e della legge, scrivendo articoli che proclamavano l’innocenza di Drumm e pagando esperti perché elaborassero nuove teorie, cui nessuno ha però mai creduto. Come ci ricorda Grisham, spesso il cammino della giustizia non porta alla scoperta di un colpevole certo e il reverendo e l’avvocato dovranno accettare più di un compromesso per ottenere la revisione del processo che ha condannato a morte certa Donté Drumm.