di Sandro Ferri (ed. E/O)
Pochi giorni fa la Camera dei Deputati ha votato per eliminare l’articolo della legge sul libro che prevedeva un tetto massimo di sconto del 15% sul prezzo di vendita del libro al consumatore finale. La nuova normativa, se dovesse passare anche al Senato, consentirebbe di vendere i libri con qualsiasi sconto, senza tenere in alcun conto il prezzo fissato dall’editore.
A prima vista questa sembrerebbe una buona notizia. Il consumatore – questo novello dittatore che è dentro ognuno di noi e che viene coccolato come un idolo da politica ed economia – potrebbe acquistare i libri a prezzo più basso e quindi accedere più facilmente alla cultura.
Si tratta di un grande malinteso nel quale ovviamente i politici sono caduti per primi, per ignoranza e demagogia.
Infatti, il prezzo libero (o la possibilità di vendere con sconti, senza alcun limite) genera invece un vero e proprio terremoto nel mercato librario, il cui risultato finale certo è la chiusura di molte piccole librerie, la diminuzione del numero di novità librarie prodotte, la difficoltà crescente per l’editoria indipendente, l’omologazione dei prodotti culturali, un ulteriore passo verso la “cultura” o sottocultura del bestseller, un restringimento del pluralismo culturale e politico.
Bisogna spiegare rapidamente perché. Il prezzo fissato dall’editore è l’unica forma di finanziamento. Non esistono forme significative di finanziamento pubblico all’editoria libraria in Italia e, in un certo senso, è meglio così. Sappiamo i danni dell’assistenzialismo e dell’intervento pubblico indiscriminato.
Quando questo prezzo viene eroso dagli sconti senza regole, i soldi in meno che entrano vengono tolti alla creazione, alla ricerca, alla qualità della produzione. Il prezzo libero del libro significa, in ultima analisi, che la grande distribuzione potrà venderlo con il 30 o il 40% di sconto (come avveniva prima dell’approvazione di quell’articolo che ora è stato eliminato alla Camera). Un libro che costa 10 euro e che finora portava nelle casse dell’editore – diciamo – 4 euro (gli altri 6 comunque già li prende la distribuzione), porterà d’ora in avanti nelle casse dell’editore solo 3 euro. Perché la distribuzione (intesa come grande distribuzione, grandi catene librarie, logistica, promozione), per assicurare uno sconto del 30 o del 40% ai propri clienti, dovrà chiedere un euro in più all’editore (e ha il rapporto di forza per ottenerlo). A questo punto l’editore dovrà produrre con 3 euro quello che prima produceva con 4. Sarà costretto a licenziare lettori e consulenti, a ridurre le spese “qualitative” (grafica, carta, tipografia), a ridurre o a rinunciare alla ricerca di nuovi autori (che naturalmente è più rischiosa e costosa della pubblicazione di libri banali, “televisivi”, conformisti).
Il libraio indipendente, da parte sua, non avrà nemmeno il margine per una riduzione dei propri costi. Semplicemente sparirà, perché il suo volume di vendite modesto non gli consente di ottenere dagli editori condizioni tali da offrire a sua volta ai suoi clienti sconti del 30 o 40%.
Il punto in sostanza è che l’abbassamento senza regole del prezzo di copertina del libro, se in un primo momento e in apparenza favorisce il lettore, alla lunga porta necessariamente all’impoverimento economico ma soprattutto culturale del mondo editoriale. Trionferà ulteriormente la sottocultura del bestseller, che significa: meno titoli, meno autori, solamente nomi famosi, risciacquature della sottocultura televisiva, dominio del marketing, del cosiddetto acquisto d’impulso (deciso in pochi secondi tra i banconi del supermarket o in edicola, sotto la pressione nascosta ma fortissima del marketing e della pubblicità). Pochi titoli, molto pubblicizzati e (solo in un primo momento) a basso prezzo. Drastica riduzione della varietà, del pluralismo delle proposte culturali.
In altri paesi europei (sicuramente Francia e Germania) il prezzo del libro è regolamentato, non esistono sconti liberi e selvaggi. Questo ha consentito in questi paesi di far quantomeno resistere (e anche in certi casi crescere) il mondo del libro, la sua varietà, l’articolazione della proposta culturale.
In Italia è inutile chiedere allo Stato di aiutarci. Sappiamo che non ne è capace. Però dobbiamo ESIGERE (in qualsiasi situazione e contesto) che non ci danneggi, che non danneggi la cultura. Siamo scettici, se non contrari, a uno Stato che organizzi spettacolo ed eventi culturali, perché questa politica può portare voti ma non fa crescere realmente la cultura. Quello che le istituzioni devono fare è assicurare le condizioni per una concorrenza leale, per la crescita di un pubblico di potenziali lettori (scuole, biblioteche, ecc.), per la salvaguardia dei soggetti che a proprie spese creano e diffondono la cultura e quindi la democrazia e il pluralismo. Nel caso del prezzo del libro, lo Stato deve legiferare perché il prezzo venga regolamentato e sia così favorita la sopravvivenza e lo sviluppo del più alto numero possibile di operatori culturali, autori, editori, librai e tutta la gente che fa parte del mondo del libro.
Il mondo del libro è un settore economicamente fragile, che lavora con margini molto contenuti in un mercato ristretto. Ed è anche un mondo dove la concorrenza è forte e rende la vita più difficile e più povera per i soggetti che lo formano. Bisogna stare molto attenti a non distruggerlo o a impoverirlo ulteriormente.(da www.100autori.it)