Il fascismo delle origini. Antonio Scurati, M

   Tempo di lettura: 7 minuti

Innanzitutto tanto di cappello per la scrittura. Le oltre ottocento pagine non stancano il lettore, nonostante l’assenza di dialoghi. Una scrittura asciutta, a tratti essenziale, quella di Scurati; e laddove c’è un’abbondanza lessicale, questa non è mai fine a se stessa.
Credo che M il figlio del secolo di Antonio Scurati meriti di essere letto. Al di là di alcuni, e per certi versi incomprensibili, errori il romanzo restituisce al lettore una buona idea di quello che è stato il fascismo delle origini e del suo artefice.
Apro una parentesi, anzi delle virgolette.
“Natura irruenta, amante della violenza e tuttavia pauroso, non mancava talvolta di una certa schietta umanità e di generosità fatta soprattutto di orgoglio e di vanità. Il rancore socialista verso i potenti era in lui, più che ansia di giustizia, sovversivismo fine se stesso, frustrazione piccolo borghese e invidia verso i ricchi. Quando poi raggiunse la meta e fu potente fra i potenti si notò in Mussolini qualcosa che ricordava lo snobismo dei parvenu.

[…]Contrariamente alle apparenze, nel fondo era un debole, spesso mutevole nelle decisioni e irresoluto. Ma nei periodi di estro questa che sembrava irresolutezza era in realtà la sua qualità politica più alta, che denotava in lui un grande tattico: la capacità di saper aspettare, di saper agire al momento giusto, di ottenere il massimo risultato con il minimo dello sforzo.”

 

Ebbene sì, M e mussolini si assomigliano, perché questo è il profilo che traccia Giampiero Carocci di Mussolini nella sua Storia del fascismo (Newton Compton, 1994, pp. 14-15); a mio giudizio il ritratto che ci consegna Scurati nel suo libro si allinea in molti punti con quello espresso da Carocci.

L’autore ripercorre la vita di M da San Sepolcro al discorso parlamentare in cui l’allora capo del governo si assunse ogni responsabilità in merito all’assassinio di Matteotti e che è considerato un punto di cesura del ventennio e l’episodio con il quale si data l’inizio del regime fascista vero e proprio.
Prende quindi in esame il fascismo delle origini: quello movimentista e parlamentare. E sono proprio le varie anime del fascismo, che cerca di inglobare dentro di sé tutto e il contrario di tutto, e le giravolte opportunistiche del suo leader  ad essere al centro del racconto di Scurati. Ogni capitolo è incentrato su un personaggio: M in primis, altri fascisti come Balbo o Arpinati, Margherita Sarfatti, D’Annunzio, politici liberali e socialisti; e assistiamo al punto di vista di queste persone in quel  determinato momento della storia del fascismo, Scurati cerca di illustrarci la loro visione della situazione.

Mi sembrano avere una rilevanza maggiore oltre a M, ovviamente, le parti dedicate a Margherita Sarfatti, che nel libro si adopera per plasmare la personalità di M e si spende per educarlo ai costumi dei salotti che contano, in un personale processo di civilizzazione. Inoltre mi pare logico pensare a come si incroceranno le vite di Matteotti e di Dumini, il suo omicida, e di come questo momento sia un punto di svolta per la storia d’Italia, un’improvvisa accelerazione, forse non casuale.
Vediamo un M attendista e opportunista, in grado di sfruttare ogni occasione favorevole e di servirsi degli altri, utilizzarli per i propri fini, come nel caso di D’Annunzio e di una vecchia volpe come Giolitti, giocato sul proprio terreno, e che ne sancirà la fine politica.  A D’annunzio ruba il linguaggio e lo stile del balcone; a Giolitti l’arte di mettere nel sacco l’avversario. M che nella fase dello squadrismo, durante gli episodi più truci, si trova sempre altrove, pronto a rinnegare se necessario o a rivendicare se giovava alla causa.

Come  l’episodio della marcia su Roma, della quale Scurati ha una lettura classica, si poteva fermare bastava volerlo, durante la quale M se ne resta al nord pronto a partire per la Svizzera se gli eventi avessero preso una piega sbagliata.

Durante la lettura mi tornava spesso alla mente il film di Risi La marcia su Roma in cui Tognazzi, durante l’avvicinamento a Roma, cancellava uno dopo l’altro tutti i punti programmatici dell’originario movimento fascista esposti a San Sepolcro e seppelliti, passo dopo passo, da M con opportunistiche piroette. Nella ricostruzione di Scurati il fascismo venne utilizzato dai grandi agrari e in parte dai liberali per arginare lo strapotere che il partito socialista era riuscito ad ottenere nelle zone rurali del centronord; il cosiddetto biennio rosso in cui  molti pensarono che in Italia si potesse fare come in Russia. Questa paura del comunismo venne sfruttata dal fascismo che si erse a baluardo contro di esso. Il governo e  i grandi proprietari appaltarono al fascismo il compito di reprimere l’ondata socialista. E qui mi sovviene un paragone con La Venezia del 1848 quando si diffuse, durante la rivoluzione, tra i nobili e i borghesi il timore che il comunismo si propagasse in città attraverso i ceti  popolari. In quel caso furono Gli stessi nobili e borghesi in prima persona a formare una guardia civica che mantenesse l’ordine in città ed evitasse il propagarsi di incidenti e disordini. Nel primo dopoguerra questo non fu possibile perché ormai le masse erano entrate nell’agone politico e il mondo era cambiato, era finita l’epoca delle rivoluzioni borghesi.

In sintesi Scurati ci veicola l’idea di un uomo che poteva essere fermato più volte nel  suo percorso verso il potere, ma chi poteva farlo non lo ho fatto per motivi diversi: debolezza, calcolo politico, opportunismo, inettitudine; ci regala  l’idea di un uomo che quando sembrava finito ha trovato la strategia per riemergere, fino a quando un re specializzato in mezzi colpi di stato gli ha consegnato il potere.

Credo che valga la pena di affrontare queste ottocento pagine per vedere come il fascismo da movimento di pochi ha raggiunto il potere e in seguito il consenso della maggioranza.

 

per BookAvenue, Davide Zotto

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