“Dit is was we delen”: ciò che abbiamo in comune.
La Fiera del Libro di Francoforte si apre con la volontà di rompere i confini
Piove, sui boschi di Francoforte. La Fiera del Libro 2016 si apre sotto la pioggia ed è un bene, data la tragedia umana ed ecologica che ieri ha colpito la vicinissima cittadina di Mannheim. Più di 7000 espositori, più di 700 paesi partecipanti, più di 275mila i professionisti del settore attesi in questi giorni, 250 le case editrici italiane presenti (il doppio rispetto all’anno scorso!): oggi ha aperto le porte la più importante fiera editoriale al mondo. Una fiera nata una settantina di anni fa ma che vede le sue origini negli editori, negli stampatori e negli autori del Rinascimento europeo.
I tratti distintivi di quest’anno sono stati annunciati sulla stampa già all’inizio dell’estate. Ancora una volta, l’impronta che Francoforte dà al suo più grande evento è un intelligente mix di obiettivi culturali, economici, politici e sociali. Un’impronta che ben rappresenta la città. Se nel 2015 il discorso di apertura affidato a Salman Rushdie era stato accolto come una fortissima presa di posizione della Buchmesse a pochi mesi dall’attentato a Charlie-Hebdo (presa di posizione che aveva scatenato la decisione dell’Iran di ritirare i propri espositori), anche quest’anno è evidente che la fiera del libro sarà molto di più di una fiera del libro. Sarà una piazza dove si ridisegnano i confini, le volontà politiche, i mercati, le ideologie, e interi popoli.
Innanzi tutto, la fiera conferma la sua linea: la letteratura e l’esperienza artistica sono il mezzo primario per superare confini. “Overcome boundaries” e “crossing borders” sono le parole d’ordine che il direttore ha ripetuto più volte alla stampa.
Quali confini? Una buona domanda.
Innanzi tutto, Francoforte sembra voler abbattere (o perlomeno spostare) i confini geografici. Il sito della Buchmesse dichiara che quest’anno l’ospite d’onore non è un paese, bensì “una lingua” e “un’idea culturale”. E la lingua in questione è l’olandese, dunque i paesi ospiti sono due. Già la scelta indica dunque che il primo messaggio che la Germania lancia al mercato editoriale e artistico europeo è: bisogna travalicare i nazionalismi. Un messaggio interessante, nel clima degli ormai numerosi attacchi terroristici su territorio europeo e soprattutto: all’indomani della Brexit.
Ma l’olandese è anche una lingua sorella del tedesco e questo gesto di tenderle la mano ha sia una valenza universale che un sapore tutto tedesco. Dit is was we delen è il motto olandese della fiera: “questo è ciò che abbiamo in comune”. Ma in comune con chi? Prima di tutto, si parla di tedeschi e “olandesi”. Titola il Deutschland.de: è “un poetico incontro tra vicini”. Difatti, non è la prima volta che i vicini si scambiano libri e molto altro. L’edizione del 1993, ancora dedicata a Olanda e Fiandre, fu un successo immenso. La scelta di questo ritorno a distanza di 23 anni svela dunque la volontà di ricostruire un ponte di aiuto reciproco che parta dallo scambio dei diritti editoriali.
Ma la Fiera di Francoforte vuole spostare anche altri confini. La migliore definizione che ho trovato finora è quella data dal Bild all’inizio dell’estate: è più di una fiera, “è una performance culturale completa”. Quest’anno, lo è più che mai. Dichiara il direttore: “quest’anno la fiera giudicherà il punto della crisi politica e culturale in Europa e al tempo stesso amplierà lo stato dell’arte”. Il suo tratto distintivo sembra infatti essere: NON SOLO LIBRI. O meglio, che cosa sono i libri? Come possono dialogare con i non-libri?
Attorno al tema dei paesi ospiti si sono quindi organizzati non solo gli editori, ma anche i principali musei della città, i teatri, i cinema, le istituzioni musicali e culturali. L’offerta artistica collegata alla fiera copre tutti i settori dalla danza alle arti visive, con una particolare attenzione alle nuove realtà digitali e all’idea – appunto – di travalicare i confini fra settori artistici. La fiera sembra dire ai libri di tirare su la testa e smettere i piangere. Andate in mezzo al mondo, libri! In un’epoca in cui il settore è in crisi, la letteratura deve dialogare con il mercato artistico dominante. Forse deve perdersi per ritrovare se stessa? Prima di tutto, deve dialogare col settore cinematografico e dell’intrattenimento. “Tradizionalmente ci siamo occupati di libri?” “Beh, ora vogliamo disegnare il futuro dell’editoria parlando anche col cinema e i giochi”.
L’offerta della fiera conferma tutto questo. Per il secondo anno di fila l’iniziativa “The Markets” porta sotto i riflettori ben sette paesi compresi quelli ospiti, con la volontà di rendere l’evento un’occasione unica di scambio economico in tutti i settori. Soprattutto, un’occasione di scambio immediato. La nuova piattaforma “The Arts+” è poi il terreno di sperimentazione per nuovi strumenti tecnologici come il 3D e il digitale.
Insomma, la fiera conferma il suo ottimismo imprenditoriale anche in un decennio che ha visto una violenta recessione. Conferma la volontà di riportare la letteratura ad essere uno strumento competitivo anche in un mondo basato sul business. Conferma poi la sua posizione di forza unificatrice politica dell’Europa. E conferma la sua volontà di favorire il dialogo interculturale ma al tempo stesso dichiara fra le righe – ancora una volta – che la tradizione culturale europea è figlia di Voltaire. Attesa l’assegnazione del Man Booker Prize 2016 e conferenze scottanti sul tema Turchia e libertà di espressione.
per BookAvenue, Silvia Belcastro