“Vide gli orsacchiotti prima di vedere la loro madre. Erano due, e si precipitarono verso di lui a balzelloni, latrando come cani giocherelloni. Erano stati partoriti quella primavera, e a cinque mesi pesavano un centinaio di libbre ciascuno. Si mordicchiavano a vicenda mentre si dirigevano verso Glass, e per un brevissimo istante la scena parve quasi comica. Ipnotizzato dalle turbinose capriole dei cuccioli, Glass non aveva ancora rivolto lo sguardo verso l’estremità della radura, cinquanta metri piú in là. E neppure aveva preso in considerazione quel che la loro presenza doveva certamente implicare. A un tratto lo capì. Fu attanagliato da un senso di vuoto allo stomaco mezzo secondo prima che giungesse fino a lui il primo fragoroso bramito. Immediatamente i cuccioli si bloccarono, a tre metri scarsi da Glass. Ignorandoli, lui si voltò a guardare la boscaglia all’altro capo della radura…”
La letteratura è la vita nel segno del puro spirito e non può raccontare che magia e metamorfosi.
Come quando ci racconta di un esploratore lungo il Missouri, in piena Frontiera americana, nel 1822. Un uomo abbandonato che sembra morto, ma che sopravvive acquistando forza nella disperazione. Un uomo per cui andare a fondo sarà arrivare al fondo delle cose e scoprire gli abissi della propria natura.
Hugh Glass, esploratore e cacciatore di pellicce (uno dei piú grandi personaggi del West), è il protagonista dominato dall’impeto della vita, dalla marea dell’essere, dalla gioia perfetta di ogni muscolo, di ogni giuntura e di ogni tendine. Perché la vita è l’opposto della morte e lui si aggrappa alla vita con tutto se stesso.
Michael Punke, Revenant, La storia vera di Hugh Glass e della sua vendetta, traduzione di Norman Gobetti, Supercoralli, Einaudi 2014.